di Luca Fumagalli
W.B. Yeats riconobbe in lui il maestro più importante, mentre Ezra Pound e T. S. Eliot spesero volentieri parole di elogio nei confronti della sua abilità lirica. Eppure di Lionel Johnson, poeta e critico di talento, col tempo si è andata a perdere la memoria e fino a non molti anni fa, quando alcuni studiosi hanno iniziato poco alla volta a riscoprirne la parabola biografica e la straordinaria produzione, ci si poteva imbattere nel suo nome tuttalpiù scorrendo le note a piè di pagina di qualche saggio dedicato alla stagione fin de siècle.
Parte della responsabilità è da attribuire allo stesso Johnson il quale, schivo e umile, condusse un’esistenza sempre appartata secondo il personale motto «Uno dovrebbe essere abbastanza impercettibile». Ciò spiega anche il motivo per cui di lui, a parte un disegno dell’amico Edwin Ellis, non vi sono ritratti e sopravvivono solamente tre fotografie da adulto, la cui autenticità, tra l’altro, è difficilmente verificabile. Pure le sue carte sono andate disperse dopo la morte, e fino alla pubblicazione nel 2012 del volume biografico Lionel Johnson: Victorian Dark Angel di Richard Whittington-Egan, per ricostruirne la vita gli studiosi si sono dovuti accontentare delle sue poesie più personali, di qualche lettera, delle memorie di chi l’aveva conosciuto e di una manciata di articoli e brevi saggi monografici. L’inevitabile conseguenza è stato un lungo reiterarsi di imprecisioni, omissioni, quando non di vere e proprie calunnie, ulteriormente smentite da Robert Asch nel suo Lionel Johnson. Poetry and Prose (2021), una raccolta critica del meglio della produzione di Johnson che va a costituire il giusto complemento al lavoro di Whittington-Egan.
In generale, al di là degli stereotipi da “minore” del decadentismo, Johnson pare piuttosto incarnare con la sua vita e la sua opera quell’estetica degli anni Novanta, giudicata da Holbrook Jackson la più autentica, che aveva come obiettivo di dare corpo a una risposta religiosa allo spirito cinico e disilluso che pervadeva la cultura.
Lionel Pigot Johnson era nato il 15 marzo 1867 a Broadstairs, cittadina costiera del Kent. Era il terzo figlio di William Victor Johnson (1822-1891), ufficiale dell’esercito in pensione e spirito conservatore vicino all’ “High Church”, e di Catherine Delicia Walters (1826-1903), il cui padre era un avvocato. In totale i piccoli di casa erano quattro, tre maschi e una femmina, mentre altre due bambine erano morte in tenera età. Una volta cresciuti, entrambi i fratelli di Lionel divennero capitani dell’esercito britannico e uno dei due fu a fianco di Kitchener a Khartoum.
A differenza di loro il piccolo Johnson era un ragazzo minuto – non superò mai il metro e sessanta –, di costituzione fragile, che soffriva anche d’insonnia e che preferiva di gran lunga i libri allo sport. Simili caratteristiche hanno dato adito ad alcune delle più strampalate leggende diffuse sul suo conto dai memorialisti: Yeats, ad esempio, sosteneva che non si fosse mai sviluppato fisicamente oltre il quindicesimo anno d’età, e Santayana, da parte sua, era solito ripetere il racconto di Wilde secondo il quale Johnson, uscendo immancabilmente ubriaco dal bar ogni mattina, cercasse sostegno aggrappandosi ai passeggini che incrociava.
Al di là dell’aneddotica spuria, quel che è certo è che il ragazzo trascorse l’infanzia a King’s Mead, la dimora di famiglia vicino a Cranborne Chase, circondato dalle persone che gli erano più care, ovvero la sorella Isabella e la cugina Olivia Shakespeare. Al contrario, sembra che con i genitori non ci fosse un grande rapporto, tant’è che dopo che a dieci anni venne mandato a studiare in un collegio, se si escludono i periodi di vacanza, non volle mai più tornare a casa. Nel 1884 i Johnson lasciarono King’s Mead e si trasferirono a Rhual, nel nord del Galles, nello stesso periodo in cui Lionel si convinse di essere una perfetta incarnazione dello spirito celtico.
Iniziò a versificare all’età di otto anni, e alla scuola preparatoria di Mr. Wilkinson, a Clifton Downs, maturò sia un amore per il greco e il latino che un profondo disgusto per la matematica.
Grazie alla vittoria di una borsa di studio, nel 1880 poté entrare al Winchester College, una delle istituzioni scolastiche più prestigiose d’Inghilterra. Oltre ad accumulare premi in inglese, storia e nelle lingue classiche, dal 1884 al 1886 divenne direttore del giornale della scuola, il «Wykehamist», che, grazie a lui, si trasformò in una rivista letteraria di qualità. Prese parte a diverse iniziative educativo-didattiche e, complice l’aspetto, spesso si ritrovò a vestire panni femminili negli spettacoli teatrali promossi dalla società shakespeariana. Era in rapporti epistolari con diversi studenti di Oxford e con Walt Whitman, venendo considerato dai compagni un erudito e un eccentrico. Correva persino voce che avesse letto tutti i libri della biblioteca e che bevesse sal volatile; per qualcuno era un tipo sinistro, forse omosessuale – sebbene manchino prove certe –, e in un’occasione, probabilmente a causa di dubbie amicizie, finì per essere coinvolto in uno scandalo di qualche tipo.
Gli anni di Winchester segnarono pure l’avvio del personale itinerario spirituale di Johnson il quale, complice una fede inaridita, si accostò per un breve periodo al buddismo e alla teosofia. Il buddismo, in particolare, lo deluse per il suo essere troppo legato all’esperienza orientale e per predicare un elitismo ascetico chiaramente fuori dalla portata dei più, specie dei poveri, verso cui il ragazzo nutriva uno speciale attaccamento di cui è testimonianza la partecipazione a un’iniziativa caritatevole come la Winchester Mission. Al netto dei dubbi, poi, manteneva intatta una certa reverenza per il sacerdozio, per la liturgia e per la persona di Cristo, tanto che più avanti si ritrovò ad accarezzare l’ipotesi di prendere gli ordini anglicani, probabilmente spinto in tale direzione dal reverendo anglo-cattolico Malise Cunninghame Graham, un suo amico, la cui tragica e prematura morte avrebbe ispirato a Johnson la poesia “In Memory”.
Le oscillazioni spirituali dell’epoca, compreso il progressivo avvicinamento al cattolicesimo, sono testimoniate dalla corrispondenza con Frank Russell – fratello maggiore del filosofo Bertrand Russell –, Charles Sayle e J. H. Badley, pubblicata nel 1919 col titolo Some Winchester Letters of Lionel Johnson.
La scuola superiore affinò anche i gusti letterari del precoce studente che dimostrava di ammirare un sorprendente ventaglio di autori, da Browning, Meredith, Rossetti, Newman fino ad arrivare a Platone, Virgilio, Lucrezio ed Eschilo, passando per Hugo, Pater, Arnold, Hawthorne e il meglio che il XVII e il XVIII secolo avevano da offrire.
Nonostante le carenze in matematica, con l’ennesima borsa di studio ottenuta per meriti scolastici, nell’ottobre del 1886 Johnson poté approdare al New College di Oxford…
La (ri)scoperta di Johnson continua nel prossimo articolo, seconda parte di tre.
Seguite Radio Spada su:
- Telegram: https://t.me/Radiospada;
- Gloria.tv: https://gloria.tv/Radio%20Spada;
- Instagram: https://instagram.com/radiospada;
- Twitter: https://twitter.com/RadioSpada;
- YouTube: https://youtube.com/user/radiospada;
- Facebook: https://facebook.com/radiospadasocial;
- VK: https://vk.com/radiospada.
Le immagini a corredo dell’articolo sono tratte da R. ASCH, Lionel Johnson. Poetry and Prose, Saint Austin Press, 2021.