Dalla Vita di S. Giosafat, arcivescovo e martire Ruteno dell’ordine di S. Basilio il Grande scritta dal monaco basiliano di Grottaferrata nel 1867 in occasione della canonizzazione da parte di Pio IX del Prelato massacrato dagli scismatici orientali in odio alla Fede Romana il 12 novembre 1623.
Del forte Sansone fu scritto che molti più Filistei uccise morendo, che non aveane ucciso essendo vivo: tale essendo il sistema ordinario della Provvidenza, che per confondere i vani e superbi disegni de’ figliuoli degli uomini, a confusione rivolge spesso ed a rovina de’ suoi nemici quei mezzi stessi, che questi impiegar vogliono per la propria esaltazione; ed indi fa derivare gloria e trionfo per la sua Chiesa e per i buoni, donde i tristi si argomentavano di ottenerne la distruzione. Tanto addivenne nella morte di Giosafat morte con tanta persistenza cercata e procurata dai nemici della Chiesa, nella speranza di poter in tal guisa, tolto via quel forte campione del Cattolicismo, bandire ancor questo per sempre da quelle regioni; e tuttavia quella morte servì mirabilmente ad estendere e rassodare la santa Unione, ed a richiamare al seno della Chiesa moltissimi traviati. Imperocché questo novello Geremia, vero amatore de’ fratelli e del popolo, anche dopo morte, come l’antico Profeta (2), molto pregava pel popolo suo che l’ avea ucciso, e per la santa Città; e dal cielo continuava l’opera sua pietosa di riconciliazione e di pace …
Ma un trionfo più glorioso ancora al S. Martire, concedeva la Divina pietà: trionfo, che donando pace almen per qualche tempo alla desolata Chiesa Polocense, poté in gran parte lenirle il dolore per la morte del suo Pastore. Ciò fu la conversione dello stesso Smotritski, il più valido e grande campione dello Scisma in que’ tempi, l’avversario personale di Giosafat, colui che sollevato avea le ultime tempeste e le fiere persecuzioni, che terminarono con l’assassinio del S. Arcivescovo. Ma appunto perché tale lo Smotritski, Giosafat maggiormente pregava per lui, ed offerendosi al Signore in sacrifizio pel suo popolo, per i suoi figliuoli e per la salute de’ suoi nemici, egli non poteva dimenticare colui, che più di tutti lo vessava, e recavagli angustie e dolori. E Dio pietoso accettava il sacrifizio ed esaudiva le preghiere del suo Servo; e però mentre secondo l’umano pensare la morte di Giosafat accrescer doveva la baldanza dell’ingiusto competitore, fortificandolo nelle sue inique pretensioni, quella morte fu invece il principio del ravvedimento di quello sciagurato.
Imperocché, come il falso pastore ebbe notizia del commesso delitto, e del severo decreto del Re contro gli uccisori, venne in grande timore per sé. Non già che egli avesse avuto una parte immediata e diretta in quella iniquità: mentre di ciò non si ebbe mai alcuna prova. Ma egli senza dubbio incitava i suoi satelliti a fomentare e ad accrescere le passioni del popolo contro del S. Arcivescovo; e se non il grido di morte, quello al certo della ribellione era partito da lui. Temendo quindi di cadere anch’egli nelle mani della giustizia, come molti altri complici, fuggì via dal Regno; e fosse curiosità o divozione, volle visitare le Sedi Patriarcali dell’Oriente. Andò a Costantinopoli, a Gerusalemme e ad altri luoghi celebratissimi nelle storie ecclesiastiche. Ma la vista di que’ santuarî squallidi e per soprappiù caduti in potere de’ Mussulmani; la condizione di quelle Chiese già sì floride, ed allora si desolate; di que’ superbi Patriarchi, che pretendevano stare a fronte del Vicario di Gesù Cristo, mentre schiavi degl’infedeli appena poteano nelle immense estensioni di loro giurisdizione raggranellare tanti seguaci e sudditi, quanti ne suole avere un mediocre parroco in Europa; poi l’incertezza della dottrina, la varietà dell’ insegnamento: tutto umiliava grandemente lo spirito dello Smotritski. Egli conobbe e vide co’ propri occhi a quale deplorabile stato conduca la disunione e lo Scisma; vide che veramente non ha Dio per padre chi non riconosce per madre la Chiesa, e che la Chiesa non è, dove non è Pietro.
Dopo alcun tempo, essendo calmati gli spiriti, deposto il timore, Melezio si ridusse alla sua Lituania, ma ben differente e diverso da quel che ne era partito: ché caduta la benda dagli occhi, egli non rimirava più le cose al fosco lume delle passioni e de’ pregiudizî; ed il successore di Giosafat non ebbe a sopportare alcuna molestia da questo pretendente Arcivescovo di Polotsk. Imperocché costui ritiratosi in una sua Abbazia, nella solitudine datosi a pensare ed a provvedere alla sua salute, confortato anche dal Rutski e da altri suoi sinceri amici, sotto il dì 23 Febbraio del 1627, abiurò lo Scisma e si sottomise al Romano Pontefice, al quale scrisse lettere commoventissime, implorando perdono e pace. Urbano VIII accolse con benignità questo atto di sommissione, assolvé lo Smotritski, e volle che egli ritenesse la dignità arcivescovile, assegnandogli la Sede in partibus di Gerapoli.
Dopo ciò Melezio non visse più che per l’anima sua e per Dio; e più che mai abbandonatosi al suo spirito di austerità e di rigore, divenne oggetto di edificante ammirazione a tutti. Venuto a morte nel 1633 pregò i suoi confratelli, che per sua consolazione gli dessero a tenere in mano come pegno di salute ed arra del divino perdono, il Breve con cui il Sommo Pontefice avealo riconciliato con la Chiesa.
L’illustre Vescovo di Chelma Giacomo Susza antico autore della vita del nostro Santo Arcivescovo, ha scritto anche quella dello Smotritski col titolo – Saulus et Paulus Ruthenae unionis, sanguine B. Iosaphat transformatus, sive Meletius Smotriscius Archiepiscopus Hierapolitanus.
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