Sintesi della 736° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, preparata nella festa di Santa Caterina da Siena (30 aprirle 2023) e postata nella festa di San Carlo Borromeo (4 novembre 2023) Relatore: Silvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso).

Questo studio dedicato a San Severino Boezio è l’ occasione per commemorare con commozione il martirio di San Severino Boezio(1) , un esimio pensatore cattolico dell’Alto Medievo che non tanto si colloca nello spartiacque tra Romanità ed era Medievale, quanto può essere considerato il primo “scolastico” a tutti gli effetti; questa considerazione è legittima, dal momento che la speculazione di Boezio, pur non giungendo pienamente alla prensione dell'” actus essendi” di San Tommaso d’ Aquino, preparò ad essa indubbiamente il terreno(2); imposto’ la dialettica tra ratio philosophica e fede in termini analoghi al ” philosophia ancilla theologiae” tematizzato dall’ Aquinate; inoltre egli, pur assimilando motivi del neoplatonismo (Proclo, Porfirio) epuro’ esso da ogni motivo gnostico, dal necessitarismo e dall’ emanazionismo (difendendo l’atto di Creazione del mondo come prodotto di Libertà e Infinito Amore di Dio) e infine, la dimostrazione boeziana dell’ esistenza di Dio contiene sicuramente” in nuce” le cinque vie tomiste”; ponendo in rilievo il fatto che al fondo della dipendenza creaturale da Dio vi è l’ incapacità del contingente di autossusistere e che un grado imperfetto di perfezione rinvia a un Sommo Bene da cui partecipa il Bene pur in maniera imperfetta.

A proposito di gnosticismo, l’impostazione boeziana della dialettica tra ” ratio philosophica” e Rivelazione dice riferimento senz’altro alla battaglia apologetica che Boezio, come tutti i Padri della Chiesa, ha condotto contro l’ eresia gnostica, che ha infestato la filosofia cristiana dei primi secoli: la pretesa che la prensione della Verità sia esclusivamente questione di gnosi, senza concorso alcuno del “lumen fidei” e della Grazia Santificante.

Per Boezio- la cui impostazione rimane invariata nel corso di tutto il suo iter speculativo- è bene che la ” ratio philosophica” si trovi ” impacciata” nell’ ambito delle”res divinae” e si muova con passi graduali. Inevitabilmente, su molte questioni, l’ accesso è sbarrato dal Mistero. Il passaggio dalla pretesa di una conoscenza razionale esaustiva nell’ambito delle “res divinae” alla pretesa di autodivinizzazione è breve.

Non per questo la ratio philosophica deve rinunciare al proprio iter speculativo, ma esercitarlo con prudenza nell’ ambito della Teologia Rivelata; di fatto, Boezio ha nutrito una passione per la speculazione filosofica sin dai 25 anni.

In un periodo di circa dieci anni tradusse e commentò la dialettica di Aristotele, compose alcuni trattati teologici, un commento ai ” Topica” di Cicerone e uno sui sillogismi ipotetici.

Verso gli anni 20′ del VI secolo si dedicò poi alle questioni morali, metafisiche e teologiche, concentrandosi segnatamente sul lavoro di commento e traduzione delle opere morali platoniche e aristoteliche.

La posizione di Boezio rifiuta sia la deduzione razionale simpliciter della Verità Divina sia la teologia apofantica di un Plotino; l’ approccio speculativo a Dio “per negationem”, che pretendesse di riservarlo tout court nell’ orizzonte dell’ ineffabile, al di la dell’Essere, negando financo a Dio l’attributo di Essere e di Soggetto genera inevitabilmente delle aporie.

Si aprirebbe un discorso interessante- ma che in questa sede posso soltanto accennare e non approfondire- sulle aporie che la ripresa della teologia radicalmente apofantica ha comportato, ad esempio in ambito ortodosso(3).

Nel ” De consolatione” la Verità Rivelata non compare mai in tutta Presenza nella speculazione, ma si staglia sempre sull’ orizzonte, in una sorta di dialettica Assenza- Presenza; infatti la Teologia Rivelata è un sapere superiore rispetto alla filosofia, di fronte a cui la capacità speculativa dell’intelligenza non solo fa fatica ma deve arrestarsi.

Dice Luigi Obertello: “Era naturale che in questa ascesa ai limiti delle forze umane la Verità cristiana non fosse assente, ma neppure presente in quanto tale. La ricerca compiuta nel De Consolatione è razionale, e quindi naturale”(4)

La riflessione razionale si conforma alla natura della realtà di cui tratta; è palmare che la ” ratio” speculativa, limitata, finita, contingente abbia più dimistichezza a trattare le cose naturali che sono altrettanto finite, limitate e contingenti; mentre quando si tratta di argomentare sulle cose divine essa è inevitabilmente più impacciata e deve muoversi con maggior cautela. In altri termini, la speculazione filosofica” non può pronunciarsi in termini di Rivelazione religiosa o teologia positiva, che è sapere, non opposto, ma diverso e superiore rispetto a quello filosofico(5).

La speculazione si arresta sulla soglia del dominio che spetta alla teologia rivelata per rispetto e riverenza nei confronti di un sapere che la trascende.

E’ una tesi costante nell’itinerario speculativo boeziano.

E nondimeno, la Rivelazione per quanto non sia totalmente presente non è nemmeno radicalmente assente, non abbandona a se stessa la ratio philosophica nel suo itinerario speculativo ma le fornisce il” lumen fidei”.

Peraltro, non vi è da meravigliarsi delle difficoltà che la ratio philosophica inevitabilmente incontra ogniqualvolta essa abbia da trattare le “res divinae”, dato che essa non di rado, non è in grado di penetrare la ragione ultima della costituzione delle entità ontologiche finite.

Per Boezio, sulla falsariga della filosofia greca a partire da Parmenide, la domanda intorno alla natura dell’ ” essere” (“perché esiste qualcosa e non nulla”?) non è affatto una questione oziosa, ma costituisce il punto di partenza della speculazione filosofica.

” Essere” e “id quod est” non sono coestensibili, ma distinti(6).

Inteso come entità semplice, scevra di ogni composizione, la cui natura coincide con la sua stessa definizione, ” Essere” è l”ipsum esse subsistens”, è Dio( in questo senso,” Essere” ha valenza teologica). Invece ,” Essere” può altresi essere inteso come principio generale astratto dalla mente dalle entità concrete( in quanto tale esso non è alcunché di concretamente sussistente, ma principio di spiegazione della costituzione delle entità ontologiche) e infine come” forma essendi” che si compone con la sostanza(” ousia”) a costituire l’ ente composto.

Pur la speculazione non ha altra via di giustificare la composizione di due principi astratti (e per stessi incapaci di sussistenza autonoma) come la “forma essendi” e la “ousia” sino a originare l’ ente dotato di esistenza al di fuori della spiegazione teologica; è la Volontà Divina, è l’ infinito Amore del Creatore.determinare la conposizione nell’ ente concreto(” id quod est”) della forma essendi e della sostanza.

La composizione di due principi per se astratti, generali e privi di concretezza( esse ed essenza) nel composto per azione del Creatore dice senz’altro riferimento alla dipendenza creaturale dell’ ente composto e contingente dall ente necessario. Ma qui la speculazione filosofica può argomentare il ” che”, non le è dato di conoscere ” quomodo” questo avvenga.

Pure questo inevitabile muoversi ” con impaccio” della speculazione nell’ ambito delle ” res divinae”, per cui essa è costretta ad arrestarsi sulla soglia del Mistero, non deve essere inteso affatto come un’ invito alle dimissioni della” ratio philosophica”.

La filosofia è considerata qui una disciplina superiore alla retorica e alla poesia, nella misura in cui essa è permeata dal”metron”, dall’equilibrio, dall’argomentazioni e dalla messa al bando delle passioni(7); a differenza della poesia e della retorica, il cui fondo è la mera espressione del”pathos”, che spesso si esprime senza edulcorare gli eccessi di gioiosa esuberanza, ira, tristezza,etc.

Al di sopra della filosofia vi è la teologia, Sommo Sapere cui la speculazione filosofica è subordinata; quest’ ultima può infatti giungere a penetrare la “profondita” del cosmo, per poi arenarsi di fronte al Mistero Divino.

Del resto, la tendenza a bandire e a non valorizzare le “Muse poetiche” non è un carattere originale della concezione boeziana, in quanto sotto questo aspetto Boezio mostra di essere influenzato da Platone.

Un tema meritevole di essere approfondito è quello che riguarda la presenza di “immagini antropomorfiche” nel “De consolatione”, segnatamente nel termine “conditor” riferito a Dio , sono sussunti i significati di “autore”, “promotore”, “fondatore” di tutto il creato, Dio è ” Colui che pone le fondamenta”

“O Fondatore dell’universo ricolmo di stelle, che assiso sul trono sempiterno ruoti il cielo con moto vorticoso ed agli astri imponi la loro legge”.(8)

Da una parte il ricorso a metafore antropomorfiche è inevitabile per la teologia razionale, che accostandosi alle “res divinae”, si deve arrestare di fronte a un’eccedenza e surdeterminazione di significato la cui prensione non è possibile in ragione della Trascendenza di Dio; dall’altra il fatto di rappresentare il Creatore con termini antropomorfi non va inteso tout court come un retaggio di paganesimo; nella filosofia cristiana infatti, l”immagine antropomorfica” riferita a Dio ha il preciso significato di dar ragione non soltanto della dipendenza creaturale del finito contingente dal Sommo Divino, ma altresì della creazione del mondo ex nihilo. Non già emanazione necessitata del cosmo attraverso eoni intemedi, bensi conferire da parte di Dio l'”ex- sistere”al cosmo( che non – era) senza intermediari ma per atto di Infinito Amore(9).

La teologia razionale può inoltre attribuire a Dio, oltre all’attributo di “conditor”, quello di ” Ordinatore”(10).

Tutto il cosmo è permeato da ordine ferreo, Dio vuole che esso sia governato dalla Legge e, dal momento che Boezio esclude il necessitarismo, l’ipotesi alternativa è che questo ordine cosmico sia prodotto dell’ Intelligenza Divina; la Volontà Divina non si configura dunque come puro arbitrio svincolato da ogni logica razionale, ovvero Volontarismo assoluto e irrazionale.

Pur nelle vicende cosmiche gioca effettivamente un ruolo determinante Fortuna “che tante vicende alterna e volge”, per definizione volubile, ora benevola ora malevola. Nondimeno, questa non è un’ argomentazione per affidare il cosmo al vortice della cieca causalità.

Perfino la Fortuna ha una giustificazione, ovvero ricopre un ruolo non assoluto ma predeterminato e relativo nell’ambito dell’ordine che tutto il cosmo permea.

E con quali mezzi il Creatore determina questo ordine, alla stregua di un Ordinatore universale, dal momento che il cosmo è creato da Lui ex nihilo?

Interrogato da Filosofia, Boezio non sa rispondere a questa domanda: qui la teologia razionale si arena di fronte il Mistero, tutto il cosmo è compenetrato di Ordine e Legge non solo in ragione dell’ ” Intelligenza”, ma anche dell'” Amore” del Creatore, nondimeno “quomodo” ciò avvenga sfugge alla possibilità di prensione da parte della speculazione.

Ma Fortuna non sembra forse rivestire un ruolo determinante, di da imporre il proprio capriccio e corso volubile senza possibilità di freno alcuno? L’ assoluta Trascendenza di Dio rispetto al cosmo non consente di inferire forse un dualismo tra mondo contingente, alla mercé dell’imperio di Fortuna e Dio Trascendente che, secondo la visione epicurea, non si cura delle vicissitudini umane?

Il principio della non autosussistenza del contingente confuta l’ipotesi di questo dualismo.

Fortuna, proprio in ragione dei suoi attributi, per l’ abito di contingenza, volubilità che riveste, dice riferimento a entità contingenti, mutevoli, transeunti che non hanno in se stesse il principio del proprio esistere; Fortuna oltretutto non esiste come essenza personificata( per quanto nel De Consolatione Boezio la “personifichi” per rispondere alle esigenze dello stile prosometrico) ma solo come attributo di entità, appunto contingenti.

Per il principio di ” dipendenza creaturali” le entita’ soggette a Fortuna, quindi mutevoli, dipendono da Dio Necessario, il cui Essere è la sua stessa Essenza e definizione.

È invece responsabile il libero arbitrio umano qualora riponga la propria felicità in beni caduchi, i piaceri corporei, l’ onore, le ricchezze, riponga quindi incondizionata fiducia in una cattiva e subdola consigliera come Fortuna, anziche volgere lo sguardo a Dio Eterno, Necessario.

Così Filosofia ammonisce Boezio, la cui attuale infelicità è dovuta all’ aver per molto tempo riposto fiducia in Fortuna

“Ma forse ritieni preziosa una felicità destinata a sparire e ti è cara una fortuna che non ti da affidamento di durare neanche quando ti sorride, e che quando se ne sarà andata ti apporterà dolore”? (11)

Il passaggio fugace di Fortuna non è che l'” indizio della futura infelicità” dal momento che non siamo in grado di dirigerne il corso. Tanto più insensata è la pretesa di dettare norme a Fortuna una volta che ci si sia affidati ad essa, sarebbe come pretendere di determinare la direzione della barca, unq volta che si siano abbandonate le vele ai venti(12)

Fortuna dunque è subordinata a Dio, l'”ipsum esse subsistens”.

La teologia razionale oltre a poter inferire che Dio è “Conditor”, “Colui che pone le fondamenta dell’ universo”, Autore e Creatore, non per alogico arbitrarismo, bensì per Volontà Libera, può altresi inferire che Egli è Sommo Bene di cui partecipano, secondo gradualità differenti, gli enti creati.

Infatti, l’ente contingente non può possedere il Bene in grado sommo, ma esclusivamente, “per partecipationem”, da Dio Trascendente, fonte che permea di Bontà l’ intero cosmo.

Infatti, la fonte di tutti gli enti buoni ” per partecipationem” non può essere un bene sensibile, perché esso per quanto elevato apparterebbe all’ ordine contingente e quindi sarebbe tale che il bene non sia coesteso alla sua essenza e definizione.

Il Sommo Bene non può che appartenere all’ordine Trascendente. Luigi Obertello mette ben chiaramente in luce come ogni valore nel grado sommo dica riferimento ad un Essere semplice, il cui Essere è la sua stessa Essenza, mentre il valore graduato dice invece riferimento all’ ente composto da essere ed essenza “Negli esseri compositi vi è necessariamente una scala graduata di valori nel più e nel meno; ma dove esistono gradi deve esistere anche un grado primo e sommo; non si intenda sommo in quanto si colloca alla sommità della scala( poiché in tal caso ne farebbe anche parte, e dunque sarebbe composito, e come ha in sé il più, così potrebbe avere il meno)”(13).

Un’ altra tesi centrale nella teologia razionale boeziana è la coestensione tra la nozione di ” bene” e quella di ” essere”

; a ragione Severino Boezio è stato considerato il Primo Scolastico perché nella sua dottrina è gia chiaramente riconosciuto che “esse et bonum convertuntur”: il “bene” dice riferimento in prima istanza all’ ordine ontologico e non già a quello morale, anche se il suo opposto, cioè il “male” comporta la distinzione in ” male fisico”, ” male metafisico” e ” male morale”.

A tal guisa, l’ autore del De Consolatione Philosophiae” può senz’altro recepire e accettare la nozione di ” male” come assenza o privazione di ” bene”, già presente nel neo- platonismo( segnatamente in Plotino) e in Sant’ Agostino. La malvagità dice riferimento ad assenza di ordine e di legge e quindi un ” principio malvagio” per se stesso è inconcepibile, nella misura in cui non potrebbe porre le fondamenta di alcunché. Dal momento che l’ Essere non può che essere fonte di Bene, essendo l’ Essere coesteso al Bene stesso, il ” male morale” non potrà che essere conseguenza del libero arbitrio, nella misura in cui esso devia dall’ ordine dell’Essere e non si attiene alla legge che permea il cosmo(14).

Il cammino è particolarmente arduo per la “ratio philosophica” quando si tratta di concepire la Provvidenza divina, Personale come Dio; in questo caso la questione è complessa per la ragione che pretenda di procedere esclusivamente con i propri mezzi, ma diventa semplice qualora si affidi al supporto della Rivelazione(15).

L’ aporia principale che la ratio philosophica incontra quando essa abbia a disaminare la questione della Provvidenza non nasce con la filosofia cristiana,in quanto essa era presente anche nella filosofia classica: Dio prevede gli eventi “ab aeterno” ed essi avverranno necessariamente secondo la pre-scienza divina. Ma in questo caso la Provvidenza divina non è subordinata al fato? Non si identifica con una fatale necessita’ nella miglior ipotesi?

Epicuro aveva risolto l’ aporia tramite un dualismo tra Dio e il mondo, ammettendo sì l’ esistenza di Dio, ma negando che Egli potesse prendersi una qualsiasi cura delle vicende umane.

Cicerone aveva affermato che tutte le cose avvenissero in maniera deterministica, secondo la necessità del fato(16).

Nondimeno si tratta di soluzioni non accettabili dal punto di vista della Rivelazione cristiana; dalla pre- scienza divina infatti non segue che gli eventi siano necessitati.

Dio prevede tutti gli eventi, presenti, passati e futuri come liberi e non già come necessari e li prevede sub specie aeternitatis (mentre il punto di vista umano dice riferimento al tempo, trasmutevole e frazionato in passato, presente e futuro, il punto di vista divino dice riferimento all’eternita’, che trascende la concezione umana del tempo in quanto essa è immobile, non vi è fluire alcuno)

In questo modo è possibile conciliare la Onniscienza divina (supporre che vi sia qualcosa di ignoto a Dio, significherebbe non concepirlo Perfetto e Immutabile, in quanto la potenzialità a conoscere alcunché implica possibilità di mutamento) con la Rivelazione Cristiana, secondo cui la Provvidenza Divina è Personale e non già Necessità impersonale.

Il fatto che la” nostra vita si svolge alla luce di un Giudice che vede tutto”comporta che essa non sia mai insignificante o assurda; è cosi per coloro che si affidano a Fortuna, la quale dispensa esclusivamente beni effimeri e caduchi, non già per coloro che la considerino” alla luce della Fonte da cui promana e della finalità preposta dalla realtà stessa delle cose”(Luigi Obertello).

A differenza della “ratio” dei pagani (vedi la Metafisica aristotelica) che giunge a spiegare tramite Dio l’ essenza degli enti, forse anche l’essere ma non già l’ esistere, la ratio filosofica cristiana rende ragione della dipendenza creaturale dell’ente contingente dall’ “Ipsum esse subsistens” , rende quindi ragione non solo dell'” essenza” ma altresì dell’existentia. Ma se sono già notevoli le sue difficoltà di fronte al Mistero della Creazione, ancora più considerevoli quelle rispetto al Mistero della Provvidenza (che al Mistero della Creazione è correlato e da esso discende). E si tratta di difficoltà dovute alla Trascendenza della ” res divina” rispetto alla ragione umana

Pure Boezio non dimissiona mai dal discorso razionale, che costantemente è presente nel “De Consolatione Philosophiae”, tuttavia egli è ben consapevole che nel campo teologico la norma da seguire è la “regula fidei” che, se è trascendente rispetto alla ragione umana, non per questo è ad essa contraria. Tale incommensurabilita non autorizza minimamente a cedere ad un atteggiamento fideistico, né tanto meno alla “dottrina della doppia verità”.

La nozione stessa di “essere”, nell’ accezione teologica di “Ipsum esse subsistens”, rispetto a cui gli enti compositi hanno rapporto di dipendenza creaturale, è un “primum” dal punto di vista metafisico, ma non dal punto di vista logico, come già ho messo in rilievo all’ inizio della trattazione; infatti la scienza logica, di primo acchito, non perviene alla prensione dell’ Essere come Essere Divino, bensì all’ essere come determinazione astratta, scevra di contenuto, incapace di sussistenza e pur principio logico di spiegazione della costituzione degli enti; successivamente giunge alla nozione di “essere” come principio che si compone con un altro, l”essenza” a costituire l’ ente composito e, solo in ultima analisi, giunge all’ accezione teologica della nozione di” Essere”; inoltre è lecito interrogarsi sui limiti dell’autonomia del” discorso metafisico” e di quello ” matematico”(17) rispetto a quello” teologico”; per motivi di correttezza formale metafisica e matematica devono impostarsi su di un metodo autonomo rispetto a quello, cospicuamente differente richiesto dalla scienza teologica. Sono differenti le tematiche e le problematiche.

Ma in questo modo non vi è forse il rischio, per rispettare tale autonomia di metodo, di sottrarre alla teologia quel ruolo di “regina delle scienze” indiscutibile presso tutti i Padri della Chiesa?

Vi è differenza di metodo, ma mai contraddizione di verità. All’ apice della piramide epistemologica, la scienza teologica fornisce visione di unità al molteplice.

“Tra i vari settori non cosi definiti non vi è opposizione o inconciliabilita’, ma convergenza verso il fine comune: la realtà, e la verità che si disvela”(18)

Sono infine meritevoli di un cenno gli “Opuscola teologica”, di cui il filologo Peiper ha curato nel 1867 un testo critico conservato presso la “Biblioteca Teubneriana”; essi non possono essere valutati in maniera autonoma rispetto ai guadagni del”De consolatione philosophiae” e tra le due opere non esiste soluzione di continuità a livello di impostazione metodologica.

Si tratta di cinque libri in cui, con intento palesemente apologetico, Boezio disamina di questioni prettamente ecclesiologiche, segnatamente difendendo la retta dottrina cattolica sulla natura di Cristo contro le dottrine eretiche di Nestorio(386- 451d.C), arcivescovo siro di Costantinopoli dal 428 al 431 e di Eutiche, teologo e monaco bizantino (378- 456 d.C).

Eppure si tratta dell’ opera in cui Boezio maggiormente ricorre alla logica aristotelica, in cui evidentemente il Nostro aveva ravvisato lo strumento per eccellenza al fine di confutare le dottrine eretiche(18).

Ricorrendo ad un'”ars pagana”, quale la logica aristotelica, in un trattato teologico Boezio aveva introdotto un’ innovazione metodologica non di poco momento.

A parte il fatto che era uno dei pochissimi (se non l’ unico” laico”)” laici”a occuparsi nel VI secolo di questioni cristologiche (ufficialmente riservate agli ecclesiastici), privilegiando la logica aristotelica egli andava decisamente controcorrente, non tanto per i ” pregiudizi” che interessavano l’ Alto Medievo nei confronti dell’opera dello Stagirita, quanto piuttosto per il fatto che la logica di Aristotele era allora poco conosciuta e poco valorizzata.

Pur sarebbe conclusione affrettata, superficiale e infondata inferire che Boezio abbia dato una coloritura di paganesimo a un’ opera prettamente di natura teologica.

Da una parte egli intendeva certamente proseguire nella direzione di quella valorizzazione del discorso razionale che gia’ aveva caratterizzato la composizione del “De consolatione”; dall’altra, Boezio aveva ravvisato nell’ “ars logica” di Aristotele lo strumento per eccellenza per confutare l’ inconsistenza e le contraddizioni facilmente smascherabili delle dottrine degli eretici.

Ad esempio, facendo leva sull’identità in Aristotele tra la nozione di “sostanza” e quella di “individualità” o ” unità” il Nostro poteva avere gioco facile a destituire di fondamento il nucleo centrale dell’eresia nestoriana, secondo cui in Cristo due “nature” e due “Persone”, quella Divina e quella umana, si giustappongono senza compenetrarsi.

Tuttavia, non è legittimo concludere in modo sbrigativo che l’ esito sia una logicizzazione integrale di quest’ opera in termini di logica aristotelica. Il discorso logico- razionale infatti è pur sempre sorretto e guidato dalla “regula fidei”.

Cari amici di Radio Spada e della Comunitò Antagonista Padana, grazie per l’attenzione.

Note

1) tra i capi di accusa contro San Severino Boezio (che pure aveva agito con rettitudine cercando di impedire una delazione di un certo Cipriano che avrebbe infangato, disonorato il senato) esiliato, privato di ogni bene e carica onorifica e infine, condannato a morte, quella di congiurare contro Teodorico ed esercitare pratiche occulte

(2) Boezio probabilmente è prigioniero ancora di un certo “essenzialismo” ereditato da Aristotele e dal neo- platonismo. La ” forma essendi” che si compone con la “materia” a costituire l’ente composto(“id quod est”) non ha infatti propriamente i caratteri dell'”actus essendi” tomista, per cui la prospettiva ontologica boeziana non guadagna un” realismo esistenziale” vero e proprio

(3) ad es. in L.Chestov(1866-1938) filosofo esistenzialista russo contemporaneo; la sua visione e’ il prodotto di un inquinamento del pensiero di S.Kierkegaard da parte di quello di M.Stirner.

Radicalizzando in modo maldestro la teologia apofantica, egli giunse nei paraggi del nichilismo.

C.f.r Augusto del Noce,” Il problema dell’ ateismo”, Il Mulino, Bologna, 1990, pp.192- 194 e p.562

( 4) Boezio,” La consolazione della filosofia- gli Opuscoli teologici”, Rusconi, Mi, p.11 ( introd. a cura di Luigi Obertello)

(5) ibidem

6) infatti, Boezio arriva soltanto in ultima analisi all’ accezione teologica del concetto di “essere” come ” ipsum esse subsistens”, scevro di ogni composizione; solo dopo aver definito in primis l’essere come principio logico universale di spiegazione degli ent i(accezione logica) e l’ essere come “forma essendi”( accezione ontologica)

(7) Philosophia appare improvvisamente a Boezio in preda al dolore per le note vicissitudini nelle sembianze di una donna sontuosa che reca sulla veste un” tau” e un ” pigreco”, che dicono riferimento alla ripartizione principale della filosofia in ” teoretica” e ” pratica” (La Consolazione, cit,I,I,p.131). L’ apparizione della “filosofia” segue una lunga tradizione presente, ad esempio, nel Critone” platonico, nel ” Poimandre'” che introduce il ” Corpus hermeticum”, nel” Poimen” di Ermia, nel ” de Nuptiis” di Marciano Capella.

Pure, come conciliare il deprezzamento delle Muse poetiche da parte di Boezio, sulla falsariga di Platone, con lo stile letterario del prosimetro (composizione mista di prosa e versi che forse si ispira alla ” satira menippea”)?

In verità, Philosophia allontanerà le Muse poetiche assise sul letto del filosofo intente a comunicargli passioni negative, anziche’ la vera guarigione dell’ animo. È una poetica che alla fine assume una connotazione positiva, liberandosi dalle passioni, e confluendo nella filosofia, cioè nell’argomentazione razionale.

(8)c.f.r” La Consolatione”, cit.,I, V, 1-5, p.150- 151

(9) per Kant, a differenza degli Scolastici, il principio “ogni contingente è causato, cioè non ha in se la ragione della sua esistenza” viene arbitrariamente ridotto al principio di causalità”,ogni causa ha un effetto”, che fa parte della soggettività trascendentale, che quindi non consentirebbe di inferire una causa prima nel mondo trascendente poiché vale solo entro il mondo fenomenico.

Invece per Boezio il principio della contingenza di ciò che non ha in sé ma in altro la ragione del suo esistere è metafisico, vale per l'” essere” e non già per il ” noumeno”.

(10) per Kant la prova dell’esistenza di Dio che inferisce un”Ordinatore” o “Architetto” dell’ universo è definita “prova fisico- teologica” e priva di efficacia argomentativa, in quanto presupporebbe quella” ontologica”.

Questo presunto” architetto” apparterebbe all’ rdine fenomenico, per quanto al vertice della scala e non già al mondo ultrasensibile.

Per Boezio valgono invece le considerazioni già fatte nella precedente nota: il “Conditor” appartiene all’ ordine ontologico” dell’ “essere” e non già ” noumenico”

(11) cfr. Boezio,” La Consolazione della filosofia”, cit.,II, I, pp.36-39

(12)ibidem, II,I,pp.46-52

(13) ibidem, p.47( introduzione)

(14) ibidem, III, XI, 38- 40, p.229 qui Philosophia interpella Boezio: “Esiste dunque- ella chiese-cosa alcuna la quale in quanto agisca secondo natura, perda il desiderio di esistere e desideri arrivare alla propria eliminazione e corruzione”?

L’ ente, in quanto da Dio creato buono, non può avere nella propria natura” conatus” al male ma soltanto al bene.

Il” male morale” è una “intenzione mancata” o privazione del ‘ “bene”

(15) ibidem, p.60 (introduzione) è evidente come nella boeziana concezione della Provvidenza divina confluiscano influssi provenienti dal neoplatonismo(Plotino, Proclo e Porfirio) e agostiniani

(16) cfr. Cicerone, De Divinatione, I,55

( 17) Boezio coltivo’ nella fase primitiva del suo pensiero notevoli interessi per la scienza matematica e compose altresì un ” De institutione arithmetica” in parte modellato e ispirato dall’opera di un matematico poco conosciuto nel corso del Medievo, vissuto durante il II secolo d.C: Nicomaco di Gerasa

(18) Come ben ha messo in evidenza Claudio Moreschini nella sua pubblicazione del “De Consolatione” reperibile sul sito “Nilalienum”, pregevole soprattutto per l’approfondita presentazione del contesto storico- sociale dell’ era di Teodorico, nonché per la paziente ricostruzione dell’ excursus filosofico di Boezio, era probabile che gli “Opuscola theologica” destassero delle diffidenze presso gli ecclesiastici” tradizionalisti; infatti, tale integrale applicazione boeziana della logica aristotelica ad un’ opera che richiedeva piuttosto un discorso teologico tout court prestava facilmente il fianco all’interpretazione di un residuo di ” paganesimo aristotelico”; ancora nel VI secolo infatti la logica aristotelica era considerata dagli ecclesiastici un complesso di assunti vacui, un orpello di questioni leziose, assolutamente inefficaci al fine della didattica (cfr. Claudio Moreschini,” De Consolatione Philosophiae”, Nilalienum, p.13)

Del resto, se gli”Opuscola” fossero stati scritti in epoca precedente, sarebbero stati oggetti di critica sicuramente veemente da parte degli scrittori cristiani.

Fonte immagine: pubblico dominio Wikipedia

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