Nota di RS: continua con un nuovo nome una rubrica storica e la collaborazione di un grande amico di RS con il nostro blog. Ne sono ovviamente onorato e auguro a quest’appuntamento di crescere e fiorire sulle nostre pagine virtuali. Sono certo che, data l’acribia e la DEDIZIONE del suo curatore, essa manterrà una moderata continuità, malgrado questi tempi bellici e infelici, frantumati e irregolari. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE della Fondazione Pascendi ETS)
di cardinalis Albus
Nella festa di San Silvestro 2023 – Domenica infra l’Ottava della Natività
Il nome di papa Silvestro è indissolubilmente legato a quello dell’imperatore romano Costantino e a tutto quanto pertiene la ‘conversione’ di questi. Ma più che del sanguinario e dissoluto principe occorrerebbe maggiormente disquisire sulle gesta del grande successore di Pietro che sedette sulla cattedra apostolica per quasi ventidue anni e, onusto di meriti, fu ammesso alla corte celeste il 31 dicembre 335. Sebbene molto vi sia da narrare circa questo grande pontefice, un episodio più degli altri lo mostra stagliarsi tra l’eclissi del Paganesimo e l’aurora del Cristianesimo nell’Urbe e nell’Orbe.
La vicenda accadde verso la fine del suo pontificato: qualche giorno dopo Pasqua tutti i sacerdoti pagani di Roma si recarono angosciati da Costantino per avvisarlo che il popolo rischiava di perire a causa del mefitico respiro emanato da un invincibile dragone, la cui tana era sita sotto il tempio di Vesta. Questo sarebbe avvenuto perché la religione cristiana vietava che la bestia fosse nutrita con alimenti a base di farina, come era fino ad allora accaduto ogni giorno dell’anno grazie alle cure delle vestali. Il drago, inferocito dalla proibizione imposta dalla Chiesa, arrivava a uccidere con il suo fetore quasi seimila uomini al giorno. Costantino, preoccupato per il crescente malcontento dei Romani, si consultò con san Silvestro, proponendogli una soluzione indegnamente subdola: si sarebbe dovuto provvedere al nutrimento del drago nella forma di una funzione religiosa cristiana. Il santo pontefice, ricusata l’ipocrita e pelosa iniziativa dell’imperatore, si rivolse al prefetto Calpurnio chiedendo quanti Cristiani avessero avuto a soffrire a causa dei miasmi. L’ufficiale, una volta risposto con imbarazzo che tra le vittime non vi era alcun battezzato, osò sfidare Silvestro esortandolo a fermare la morìa e, se il papa avesse avuto successo e per un anno il drago non avesse più esalato il suo letale respiro, egli e gli altri sacerdoti pagani si sarebbero convertiti alla fede cristiana.
Dopo che Silvestro prescrisse ai fedeli di Roma un triduo di preghiera e digiuno, il terzo giorno, gli apparve san Pietro che lo rassicurò circa la sua vittoria su Satana che abitava dentro il drago: il successore dell’Apostolo avrebbe dovuto scendere nell’antro oscuro assieme ad alcuni chierici dopo aver comunicato; apparendo senza timore di fronte alla bestia era da recitare il Simbolo della Fede e, appena dopo l’articolo Hic venturus est iudicare vivos et mortuos, si sarebbe ordinato al drago di rimanere immobile (fixus) in quel luogo fino alla seconda venuta del Cristo. Dopodiché, la bocca della bestia avrebbe dovuto essere serrata con tre giri di filo di canapa al quale andava applicato un sigillo di cera candida su cui era incisa la Santa Croce; infine, il cancello della grotta andava sigillato con delle catene, affinché – come affermò san Pietro –: «quelle porte non si apriranno se non nel giorno del Giudizio».
A cagione della stoltezza pagana i sacerdoti idolatri mandarono con il papa gli stregoni Porfirio e Torquato, perché potessero testificare l’impresa di san Silvestro. Egli, accompagnato dai preti e dai diaconi scelti da san Pietro, scese i centocinquanta gradini che s’inabissavano nel tempio di Vesta, ove il fiato del drago atterrò i detti maghi. Il santo papa e i suoi chierici eseguirono con invitta fede e candido zelo quanto ordinato dal Principe degli Apostoli e alla loro impresa non poté che arridere il successo. Ornato dalla Carità non meno che dalla Fede e dalla Speranza, Silvestro pregò che i due stregoni si risollevassero miracolosamente da terra e che fossero del tutto ristabiliti. Dopo che ciò avvenne, essi non tardarono a convertirsi, tanto che corsero a prendere i loro manoscritti che racchiudevano empie scienze e sordide cerimonie per bruciarli ai piedi del papa e alla presenza del popolo romano. Mentre ciò avveniva i due affermarono: «allo stesso modo s’incendiino e ardano coloro che non credono in Cristo, figlio di Dio, predicato da Silvestro». Infine, trascorso un anno senza che il drago avesse mietuto vittime, i sacerdoti pagani si prostrarono anch’essi ai piedi del papa e credettero al Cristo. Solo in quell’anno in Roma furono battezzati trentamila uomini, senza contare i pusilli e le donne.
Tale vicenda si perse nell’oblio dei secoli. E come una meravigliosa statua dell’età antica, dopo aver fluttuato nel mare per interminabili anni, ricompare inaspettatamente sulla riva sfigurata e quasi irriconoscibile, ecco che nel 1830 Gioacchino Belli, con dissacrante ironia e provocatoria incredulità, restituì per mezzo di uno dei suoi sonetti (Un miracolo grandioso)una sua versione di quanto accaduto quasi millecinquecento anni prima:
Si può forse perdonare allo scanzonato poeta romano la leggerezza con la quale trattò le venerabili gesta di san Silvestro (confondendolo con san Leone Magno). Purtuttavia, solo pochi decenni dopo che furono composte le scherzose rime, a Roma tornò a regnare lo scettro dell’Arcinemico, sicché i miasmi – non solo figurati – del liberalismo e del naturalismo si sono propagati nuovamente per la Città eterna, financo sul colle Vaticano.
Non volesse il Cielo che, sotto i rumorosi piedi di coloro che tutt’oggi ammirano le vestigia dei Fori romani, ormai siano di san Silvestro il sigillo rotto e le catene sciolte; e l’antico serpente, affamato di vite e di anime, capace di propagare senza freno la prima e la seconda morte.
Fonte immagine: Sailko, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons






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