Un testo di Francesco Petrarca, genio umano e cristiano, come meditazione nella festa di san Davide, re e profeta.

D’ora in poi siano i miei oratori Ambrogio, Agostino, Girolamo, Gregorio, il mio filosofo sia Paolo, il mio poeta David, che, se ricordi, molti anni fa nella prima egloga del mio Carme Bucolico così paragonai con Omero e Virgilio da lasciare incerta la vittoria; ma ora, sebbene si opponga l’antica forza d’un’inveterata abitudine, ogni dubbio mi toglie la mia vittoriosa esperienza e la splendente verità che mi rischiara lo sguardo. Ma se quelli [gli autori sacri] io preferisco, questi [gli autori classici] non abbandono, come scrisse ma non mi par che facesse Girolamo nelle opere che seguirono; credo di poter amare gli uni e gli altri, sebbene ben sappia quali debba preferire per la perfezione dello stile, quali per la sostanza.
Chi m’impedisce di fare come un buon padre di famiglia, che parte della sua suppellettile destina agli usi necessari, parte all’ornamento della casa, e parte dei servi al servizio del figlio, parte al suo sollazzo? e d’arricchirmi così d’oro e d’argento, pur conoscendone bene il prezzo e non confondendo l’uno con l’altro, specialmente quando quegli antichi non chiedono altro da me se non ch’io non li dimentichi, e contenti delle primizie dei miei studi cedono il posto a migliori di loro? Questo avendo da me stesso stabilito di fare, tanto più volentieri lo farò ora che tu me lo consigli e proponi; per lo stile, se occorra, ricorrerò a Virgilio o a Cicerone, né esiterò a ricorrere ai Greci se qualche cosa non troverò presso i Latini; per la vita, anche se tante cose utili si leggono in essi, userò come consiglieri e maestri di salvezza questi altri, la cui fede e dottrina è senza sospetto d’errore. Tra questi giustamente considererò primo David, tanto più bello quanto più semplice, tanto più dotto e facondo quanto più puro. Il suo Salterio vorrei di giorno aver sempre in mano e sotto gli occhi, di notte e sul punto di morte sotto il capo, stimando questo per me cagione di gloria non meno che per il massimo dei filosofi [Platone] i mimi di Sofrone.

da Familiares XXII, 10.



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