di Luca Fumagalli

La fede di Charles Péguy, ritrovata dopo anni di militanza politica socialista, fu sempre sofferta. Il matrimonio civile lo teneva lontano dai sacramenti – all’amico Lotte confidava: «È un’impresa folle. Ma godo del dono della grazia» – e gli amici cattolici, Maritain in primis, lo criticavano aspramente.  Anche sul versante lavorativo e famigliare le cose non andavano affatto bene: non solo la sua libreria, comprata grazie ai quarantamila franchi che la moglie aveva ereditato dal padre, era in perdita, ma pure la stabilità coniugale si era incrinata a causa della sua infatuazione per la giovane Blanche Raphaël, di origini ebraiche.

Fu così che nel giugno del 1912, raccolte le proprie miserie, lo scrittore francese si mise in cammino, compiendo un pellegrinaggio a piedi da Notre-Dame di Parigi a Notre-Dame di Chartres. Voleva ringraziare la Madonna per la guarigione del figlio Pierre Marcel, ma quei centotrenta chilometri, tra andata e ritorno, divennero per lui molto di più, ossia un’occasione di meditazione, un’opportunità quanto mai preziosa per fare i conti con se stesso, col proprio passato e col proprio presente.

Dall’esperienza scaturì un poema di alta spiritualità, L’Arazzo di Notre-Dame, pubblicato per la prima volta nel 1913 sulla rivista «Cahiers de la Quinzaine».

Frammentato in gruppi di quartine e sonetti – a edificare spiragli di intuizione che si aprono via via alla luce –  L’Arazzo appare il testamento di un’anima inquieta, per certi versi non troppo dissimile da Le confessioni di Sant’Agostino o La montagna dalle sette balze di Thomas Merton, richiamando pure il climax laico di quei grandi narratori di viaggi come Omero, Dante, Melville, Coleridge e molti altri ancora. È inoltre una delle ultime opere di Péguy, il quale sarebbe morto di lì a poco, a soli quarantuno anni, freddato da una pallottola tedesca sul fronte della Marna (la moglie ne fu talmente scossa che, seppur atea, si risolse infine a fare battezzare i quattro figli).

L’immagine artistica dell’arazzo, oltre a richiamare quella di un antico e celebre manufatto francese, l’arazzo di Bayeux dell’XI secolo, che racconta l’invasione dell’Inghilterra da parte dei Normanni, evoca nelle sue asimmetrie e giustapposizioni, nei fili colorati che si intrecciano, il senso unitario sotteso alla storia, quel significato che tiene insieme e dà ragione delle mille e più contraddizioni del quotidiano. Ecco perché nel suo poema Péguy non si fa problemi a confondere le proprie vicende personali con quelle della Francia, non disdegnando nemmeno inserti di cronaca locale, come la morte per droga di un ragazzo suo collaboratore, Réné Bichet. L’esito è un dialogo costante tra terra e cielo che assume i toni di una litania drammaticamente umana, con una povera creatura che si arrende a Maria e che scopre nel suo sguardo quella medesima schiavitù d’amore di cui aveva già parlato San Luigi Maria Grignon de Montfort.

L’Arazzo di Notre-Dame si apre con una potente metafora: una nave che parte da Parigi e scivola lungo la Senna per fare rotta verso Chartres. La stiva non è piena di virtù ma di peccati, un carico che l’opera redentrice del Figlio di Maria ha reso prezioso, trasformando ogni miseria in oro. E sul fiume Péguy immagina che un popolo di rematori raccolga l’eredità culturale greco-romana e cristiana, radici dell’Europa, mentre il capitano innalza sul pennone uno stendardo fatto di preghiere, una veste di sacco e di penitenza che raccoglie tutte le invocazioni e dà propulsione alla nave. Nel mentre, sullo sfondo, sfilano le tappe storiche e le figure dei grandi condottieri del passato che riverberano di quell’atteggiamento positivo di chi non rinnega o dimentica nulla, ma vive la gioia di un nuovo presente.

A seguire, la descrizione della regione della Beauce, con la bionda Loira che accompagna la marcia del tenente Péguy, il quale vede nella via che deve percorrere la “porta stretta” del Vangelo, che anticipa le cinque preghiere recitate nella cattedrale di Chartres, dove, sotto gli occhi di Maria, ogni cosa diventa possibile. Il tempo è fatto nuovo, e il ritorno all’innocenza fanciullesca si associa alla scelta matura e consapevole da parte del poeta di non venir meno alla fedeltà coniugale, non per un vuoto senso del dovere, ma per amore a Cristo sulla croce.   

Nell’epilogo Péguy si mostra come un uomo rinnovato, libero da tutto ciò che è vano e che un tempo lo attraeva. In Maria ha trovato la perla preziosa del Vangelo e l’ultima preghiera è per i figli, che saranno le spighe più mature nel giorno della mietitura.

Ora, grazie alla meritoria casa editrice Mimep Docete, L’Arazzo di Notre-Dame è disponibile per la prima volta in traduzione italiana. Il risultato è un volume brillante, curato da Alfredo Tradigo, che vanta pure uno splendido apparato iconografico, una sorta di viaggio a Chartres in cento immagini. Si tratta dunque di un titolo imprescindibile, una splendida opportunità per riscoprire il valore di una poesia che ha nutrito di verità e bellezza intere generazioni.

Il libro: Charles Péguy, L’Arazzo di Notre-Dame, a cura di Alfredo Tradigo, Mimep Docete, 2023, 204 pagine, 35 Euro.

Link all’acquisto: https://www.mimep.it/catalogo/spiritualita/larazzo-di-notre-dame/



Seguite Radio Spada su: