di Luca Fumagalli
Per la prima parte: QUI
Morwenstow, più un agglomerato di frazioni affacciate sul mare che un vero e proprio villaggio, a metà del XIX secolo contava meno di mille abitanti. In quel territorio difficilmente raggiungibile il tempo pareva essersi fermato e i parrocchiani, la stragrande maggioranza dei quali non era mai andata oltre un’educazione elementare, vivevano in condizioni misere. Hawker, affezionato agli animali, non tollerava le crudeltà che venivano commesse contro di loro, ed era inoltre infastidito dalla diffusa tendenza alle scappatelle extraconiugali e all’ubriacatura. Anche gli episodi di violenza erano all’ordine del giorno tant’è che stabilì di tenere in casa sua un revolver come arma di difesa: «La natura umana è cattiva, la natura inglese è peggio, ma quella degli abitanti di Morwenston è la peggiore di tutti».
La sua aziona pastorale fu almeno efficace nell’eliminare lungo il tratto di costa di sua competenza la piaga dei contrabbandieri, ossia di coloro che, approfittando degli occasionali naufragi, arraffavano la merce che il mare trasportava sulla spiaggia allo scopo di tenersela o rivenderla. Per fare questo a volte si arrivava addirittura a uccidere eventuali membri superstiti dell’equipaggio, a cui per legge apparteneva il carico. Hawker insegnò a prestare soccorso ai feriti e a trasportare i cadaveri alla parrocchia per un degno funerale, un compito che in verità poco gradiva poiché sovente si ritrovava a dover assembrare corpi smembrati. La strana scultura di un guerriero scozzese che faceva bella mostra di sé nel cimitero di Morwenstow era la polena della “Caledonia”, una delle tante navi affondate, e nel terreno intorno erano sepolti una quarantina di marinai.
Hawker non era all’oscuro del fatto che simili comportamenti scandalosi avevano la loro origine nella diffusa povertà, che tentò di combattere in ogni modo. Nella poesia “The Poor Man and His Parish Church”, pubblicata in forma di opuscolo nel 1843, puntava il dito contro uno stato che aveva privato il povero della sua Chiesa offrendogli, a mo’ di compenso, le squallide workhouses messe sbrigativamente in piedi dalla recente Poor Law:
O ! for the poor man’s church again.
With one roof over all ;
Where the true hearts of Cornish men
Might beat beside the wall :
The altars where, in holier days,
Our fathers were forgiven,
Who went, with meek and faithful ways,
Through the old aisles to heaven.
Lo strano abbigliamento del vicario di Morwenstow è parte integrante della leggenda che lo circonda. Solo le sue calze, essendo nere, avevano qualcosa di clericale; il resto era un guazzabuglio di stili dal profondo valore simbolico: la tonaca marrone, aperta sul davanti, rimandava al colore dei capelli della Madonna e di Suo Figlio, mentre il maglione blu da pescatore, con una piccola croce rossa cucita su di esso, alludeva al “pescatore d’uomini” e alla ferita prodotta nel costato di Gesù dalla lancia del centurione. Il tutto era completato da un paio di grossi stivali da marinaio, un cappello a tesa larga e una matita da falegname legata all’occhiello, a ricordare il “falegname di Nazareth”. Durante le cerimonie religiose era invece solito servirsi dei paramenti di cui facevano uso anche i cattolici e probabilmente fu il primo prelato anglicano del XIX secolo a farlo.
D’altronde, al di là del viscerale odio per i metodisti e per tutte le frange più estremiste del protestantesimo britannico, la sua visione teologica aveva molto a che spartire con quella romana, nutrendo una profonda devozione sia per la Madonna – si veda la bella lirica ” Aishah Schechinah” – che per il Santissimo Sacramento. Nicholas Ross sostiene che già a partire dal 1845 Hawker aveva iniziato a ragionare sostanzialmente da cattolico, complice anche un anglicanesimo in evidente affanno. Oltre a prendere le distanze dall’ondata “anti-papista” scoppiata in Inghilterra nel 1850 dopo la promulgazione della bolla papale Universalis Ecclesiae, scambiò lettere con John Henry Newman, col cardinale Wiseman e con altri intellettuali legati alla Chiesa di Roma, ma, stando a quanto scrive padre Brocard Sewell, «in ciò che insegnò al suo gregge non andò mai oltre in quello che riteneva essere la sana dottrina secondo la tradizione dell’ “anglicanesimo alto”».
La chiesa di Morwenstow era naturalmente il centro della sua vita e Hawker era fermamente convinto che fosse stata edificata su ordine di Santa Morwenna, figlia di un sovrano gallese del IX secolo. L’amore per l’edificio e per tutto ciò che rappresentava, vale a dire un’idea di fede “fisica”, che è prima di tutto quella in un Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo ai suoi figli, è espresso dal vicario in una sua poesia, “Morwennae Statio”, parte di una raccolta intitolata significativamente Ecclesia (1840):
My Saxon shrine! the only ground
Wherein this weary heart hath rest;
What years the birds of God have found
Along thy walls their sacred nest:
The storm, the blast, the tempest shock,
Have beat upon those walls in vain;
She stands,—a daughter of the rock,—
The changeless God’s eternal fane.
***
How all things glow with life and thought
Where’er our faithful fathers trod!
The very ground with speech is fraught,
The air is eloquent of God.
In vain would doubt or mockery hide
The buried echoes of the past;
A voice of strength, a voice of pride,
Here dwells amid the storm and blast.
Intenzionato a fare della propria parrocchia un modello per la Cornovaglia, Hawker non perse tempo e una volta giunto a Morwenstow, grazie ai soldi messigli a disposizione dalla facoltosa moglie, fece costruire un ponte per favorire i contatti col mondo esterno, una spaziosa canonica in stile gotico vittoriano e una scuola. Il resto dei fondi li impiegò per ristrutturare chiesa: «Con le sue opere di costruzione, con i suoi sforzi educativi e i suoi servizi attenti ai sacramenti, al rituale e alla preghiera», sottolinea Brendon, «è come se avesse tentato di creare una comunità di fede a immagine di quella che pensava fosse esistita nel Medioevo. Molti, al suo tempo, reagendo contro il materialismo scientifico, gli effetti dell’industrializzazione, il radicalismo, l’utilitarismo ecc. condividevano il “sogno d’ordine” di Hawker. Pochi cercarono di realizzarlo in termini così concreti». Il rovescio della medaglia è che il vicario si ritrovò rapidamente con le tasche vuote e il resto dei suoi giorni a Morwenstow furono funestati dai debiti e dalle ansie finanziarie.
Hawker comunque non si scoraggiò e, anzi, si spese per la cura spirituale dei suoi parrocchiani senza alcun risparmio, mettendo in campo diverse iniziative: ad esempio trasformò la festa del raccolto in una celebrazione cristiana, raccolse offerte per i più bisognosi e organizzò un sinodo rurale che coinvolgesse i sacerdoti della regione.
Nei decenni che seguirono diede alle stampe altre brevi raccolte poetiche, Reeds Shaken by the Wind (1843), Second Cluster (1844) ed Echoes from Old Cornwall (1846), ma il suo capolavoro è senza dubbio The Quest of the Sangraal, un poema a tema arturiano rimasto incompiuto, del quale sopravvive solo il primo dei quattro canti previsti, pubblicato nel 1864. L’opera di Hawker venne elogiata da molti, tra cui Longfellow, e pare che lo stesso Tennyson riconobbe la Quest superiore al proprio Idylls of the King.
Hawker, che usa per la prima volta il vero sciolto del tipo impiegato da Christopher Marlowe a dai suoi predecessori, crea una composizione incantevole, formalmente solida, di cui è testimonianza l’incipit sfolgorante:
Ho! for the Sangraal! vanish’d Vase of Heaven!
That held, like Christ’s own heart, an hin of blood!
Ho! for the Sangraal!
I quattro cavalieri che, per ordine di Re Artù, partono alla ricerca del Santo Graal, non sono sulle tracce di un manufatto magico o, peggio ancora, di un banale simbolo. Secondo il gesuita Calvert Alexander, «la fede e anche la filosofia di Hawker (era un attento studioso della Summa di San Tommaso) lo hanno messo in contatto con quella promessa di verità da cui tutta la grande poesia cristiana deve nascere. Il suo Santo Graal […] è l’Eucarestia e la Chiesa che sola dona il corpo e il sangue di Cristo. Re Artù non è una semplice figura leggendaria, ma un re storico che vede la fede abbandonare le sue terre e guerre per riportarla indietro, e ha successo grazie all’impresa compita da Galahad, il quale rappresenta per Hawker la venuta di Sant’Agostino dopo la parentesi di caos portata dai barbari». Il poema si conclude con una supplica di Merlino rivolta all’Inghilterra del XIX secolo a cui augura di ritrovare quel Graal che è l’unica cosa in grado di salvare il popolo dal male, ossia il Santissimo Sacramento, condannato all’oblio dalla corruzione morale e dall’agnosticismo dilagante.
Nello stesso 1864 Hawker sposò in seconde nozze Pauline Kuczynski, la figlia ventenne di un nobile polacco in esilio (per chiederne la mano si recò a Londra in treno per la prima volta in vita sua). La coppia ebbe tre figlie, Morwenna, Rosalind e Juliot, nate rispettivamente nel 1865, nel 1867 e nel 1869.
Per far fronte alle crescenti difficoltà economiche, imputabili pure alla sua cattiva gestione del denaro, il vicario si mise a offrire a vari periodici londinesi articoli sulla vita in Cornovaglia, che vennero radunati e pubblicati nel 1870 nel libro Footprints of Former Men in Far Cornwall. A confronto della poesia, la sua prosa risulta però men che mediocre, minata da un fastidioso stile pseudo-arcaico e dalla spregiudicatezza nel confondere verità e invenzione.
La notte prima della morte, avvenuta il 15 agosto 1875, Hawker venne accolto nella Chiesa cattolica dal canonico Mansfield, fatto convocare apposta dalla moglie. La sua conversione in extremis è ricordata anche dall’iscrizione che compare sulla tomba, posta nel cimitero di Plymouth.
Inevitabilmente seguirono le polemiche – «il suo fu un atto pienamente consapevole? Allora», nota Patrick Hutton, «non arrivarono risposte definitive e certamente non ne emergeranno oggi» – ma quel che è certo è che l’ultima poesia che Hawker scrisse, “Psalmus Cantici”, la volle dedicare a Henry Edward Manning, recente neo-cardinale:
A prince shall reign from the great Gregory’s line,
A prelate wield Augustine’s mighty name;
They live and breathe again, as though their shrine
Gave back the buried saints to life and fame.
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Le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dal volume di P. Hutton, I Would Not be Forgotten: The Life and Work of Robert Stephen Hawker (Tabb House, 2004); fa eccezione il disegno del ’63, tratto da http://www.robertstephenhawker.co.uk/?p=292.