di Luca Fumagalli
Autore di più di quaranta titoli lungo una carriera durata settant’anni, Bruce Marshall è uno di quei rari scrittori provenienti dai ranghi del cattolicesimo britannico che è riuscito a guadagnarsi una certa fama in Italia, forse anche maggiore di quella ottenuta in patria[1].
Leo Longanesi, colui che con la sua casa editrice lo lanciò negli anni Cinquanta[2], lo definiva lo «scrittore cattolico più letto e più amato di tutto il mondo»; allo stesso tempo, però, ci teneva a sottolineare come Marshall non avesse nulla a che fare con una letteratura edificante e di averlo scelto proprio per la sua capacità di sfuggire ai facili cliché: «L’autore non si avvale affatto dei toni dolci e stucchevoli così frequenti nella letteratura cattolica, [e scrive] con grande spregiudicatezza, con spirito e con arguzia, tali da piacere anche al lettore più smaliziato»[3]. Tra l’altro il rapporto tra Marshall e il suo primo editore italiano fu contraddistinto da una stima reciproca, e il romanziere dimostrava di apprezzare in particolare le copertine disegnate per lui, «perché capiva che nell’attuarle, Longanesi si rivelava quasi senza volerlo, al di là della sua angoscia anarchica, l’idealista difensore di valori e istituzioni a entrambi cari»[4].
Agli sforzi della casa editrice milanese si associarono, poco alla volta, quelli di altre realtà editoriali quali Mondadori, Massimo, Minerva Italica, Club Italiano Dei Lettori, Garzanti, La Scuola, Rizzoli, TEA e, in ultimo, Jaca Book, l’unica che continua a ristampare qualcuno dei libri di Marshall[5] (una nota a parte andrebbe fatta a proposito delle traduzioni, non sempre all’altezza)[6].
In ogni caso il tempo non è stato galantuomo, e se Il miracolo di padre Malachia, Tutta la gloria nel profondo, A ogni uomo un soldo e altri romanzi seguitano ad essere letti e apprezzati per la combinazione di umorismo, di forza polemica e di perfetta cattura psicologica dei personaggi descritti, il resto della sua corposa bibliografia è caduto in un relativo oblio. Si tratta di un vero peccato, anche perché, al netto di una qualità altalenante – inevitabile per chi, come lui, scriveva a ritmi serratissimi –, le opere interessanti non mancano di certo[7].
Fatto ancora più curioso, tolta una manciata di articoli, per il momento non esistono studi critici approfonditi dedicati alla parabola biografica o letteraria di Marshall, e le sue carte, custodite presso la biblioteca dell’americana Georgetown University, attendono ancora qualcuno che abbia voglia di esaminarle con attenzione[8].
Ne consegue che le scarne informazioni che si hanno sulla sua vita, sovente inaccurate, derivano più che altro dalle interviste, da voci enciclopediche o dalle note che compaiono sulle copertine dei suoi romanzi.
Nato a Craighall, Edimburgo, il 24 giugno 1899, Claude Cunningham Bruce Marshall era il primogenito di Claude Niven Marshall e di Annie Margaret Seton Bruce. La coppia aveva anche una figlia, Elinor, di due anni più piccola.
Nel 1909, dopo la prematura scomparsa della madre, il giovane Marshall venne mandato a studiare al Glenalmond College per poi iscriversi, a diciassette anni, alla University of St. Andrews. Lì, animato da un profondo sentimento religioso, si preparava a essere ordinato nella Chiesa episcopale scozzese. Mostrava pure un discreto talento per la scrittura e fu proprio in quel periodo che iniziò a comporre i primi racconti a sfondo religioso, raccolti nel 1918 in A Thief in the Night, «un libro che non valeva niente»[9] e che venne dato alle stampe solo grazie al sostegno economico del padre.
La sua carriera accademica venne bruscamente interrotta in quello stesso anno dalla chiamata alle armi. Servì come secondo tenente dei Royal Irish Fusiliers e il 5 novembre, sei giorni prima della fine delle ostilità, a Bruyelles, in Francia, rimase gravemente ferito dallo scoppio di una granata, finendo per subire l’amputazione di una gamba. A trarlo in salvo furono alcuni attendenti medici tedeschi che sfidarono coraggiosamente gli intensi bombardamenti: «Partì per la Prima guerra mondiale debitamente seguendo il cammino dell’onore e della gloria; e se quella dura vita non mi permise di raggiungere del tutto le stelle, almeno vi lasciai, sepolto per sempre, solo un quarto del mio corpo»[10].
Pochi mesi prima, a gennaio, Marshall si era fatto cattolico. Non vi è da dubitare che tale scelta fu l’esito dei suoi approfonditi studi storici e teologici, nonché della lettura delle opere dei cardinali John Henry Newman ed Henry Edward Manning, di mons. Robert Hugh Benson, di G. K. Chesterton, di mons. Ronald Knox[11] e di tanti altri illustri convertiti britannici, ampiamente citati nei suoi futuri romanzi (probabilmente risale invece a un periodo successivo l’incontro con i grandi autori del cattolicesimo francese). Si trattò comunque di un passo coraggioso, compiuto in un paese ancora caratterizzato da un forte pregiudizio nei confronti dei cosiddetti “papisti”.
Una volta congedato, Marshall riprese gli studi alla University of Edinburgh, questa volta per conseguire il diploma di esperto contabile. Ottenuto il titolo, nel 1926 trovò impiego dapprima in Italia, a Milano, poi a Parigi. Il 31 ottobre 1928 sposò la connazionale Mary Pearson Clark e poco dopo nacque Sheila Elizabeth, la loro unica figlia[12]. Fu nella capitale francese, durante i quattordici anni in cui lavorò come estensore di bilanci di case commerciali anglo-americane, che prese a pubblicare romanzi con una certa continuità, costringendosi a levatacce mattutine per scrivere qualche pagina prima di andare in ufficio.
Nel complesso le opere del periodo soffrono per la mancanza di un’impronta personale: This Sorry Scheme (1924), la vicenda, dai toni schietti, di una coppia di coniugi male assortita, The Stooping Venus (1926), Teacup Terrace (1926), And There Were Giants… (1927), The Other Mary (1927) e High Brows (1929).
Di queste solo The Stooping Venus vanta qualche guizzo degno di nota. La storia è semplice e vede Lady Louise in procinto di lasciare il marito, Lord James, per darsi alla pazza gioia con Robert Hewitt, studente di medicina di origini scozzesi e recente autore di successo. Alla fine, però, cambia idea, rendendosi conto che il suo sentimento non è corrisposto con la medesima intensità. Il triangolo amoroso si spezza e a trionfare è il buon senso e la fedeltà coniugale.
Altrettanto interessante è The Little Friend (1929), un libro tragicomico che ha per protagonista James Garret, giovane irresoluto ed egoista. Dopo la morte della fidanzata in un terribile incidente, James decide di abbandonare gli studi teologici per diventare pubblicitario in un’azienda di dentifrici. Quando sceglie di sposare Molly, firma la condanna dell’altra amante, Pepita, che senza il suo supporto non può fare altro che tornare a fare la prostituta.
The Rough House (1930) e Children of This Earth (1930) anticiparono di un anno Il miracolo di padre Malachia (Father Malachy’s Miracle), il primo romanzo di successo firmato da Marshall, considerato da più parti il suo capolavoro[13]…
Il racconto della vita e delle opere di Marshall continua nella prossima parte.
[1] Tra gli ecclesiastici britannici un affezionato lettore di Marshall era l’arcivescovo di Westminster – e primate della Chiesa inglese – John Carmel Heenan, il quale considerava lo scozzese uno «di quegli scrittori di ottima preparazione che fanno scuola e predicano coi libri» (cit. in P. VICENTIN, La voce dei padri conciliari, «L’Osservatore Romano», 22 novembre 1962). All’epoca dell’articolo, Heenan era ancora arcivescovo di Liverpool.
[2] La prima traduzione, datata 1947, è quella de Il mondo, la carne e padre Smith (ristampato in seguito col titolo Tutta la gloria nel profondo). Successivamente videro la luce altri romanzi di Marshall, quelli considerati i più interessanti tra quanti aveva scritto negli anni precedenti, ma è solo dopo il 1954 che Longanesi riuscì a riprendere il ritmo delle edizioni originali, pubblicando quasi tutti i suoi ultimi libri nell’anno stesso in cui uscirono in inglese.
[3] Cit. in Nota dell’editore, in B. MARSHALL, Tutta la gloria nel profondo, Jaca Book, Milano, 2015, p. 5.
[4] M. MONTI, Presentazione, in B. MARSHALL, La ragazza di maggio, Longanesi, Milano, 1969, p. 7.
[5] Altrettanto numerose sono le case editrici anglosassoni a cui Marshall si rivolse per la prima stampa delle sue opere. In aggiunta a Constable, la principale, figurano E. P. Dutton, The Macaulay Company, Alfred A. Knopf, Heinemann, Houghton Mifflin, Evans Brothers e Robert Hale.
[6] «Una certa sciatteria, dovuta alla fretta delle traduzioni, si nota in diversi libri del nostro autore» (L. DEL ZANNA, Il mondo clericale di Bruce Marshall, in AA. VV., Profili di scrittori (inchieste teologiche) – Quarta serie, Edizioni ”Letture”, Milano, 1963, p. 178, n. 32).
[7] Secondo Del Zanna, che scriveva nel 1963, specialmente in campo britannico «da parte della critica letteraria ufficiale, […] Bruce Marshall continua a essere, malgrado i milioni di copie dei suoi libri che si vendono continuamente in Europa, in Asia e in America, un disprezzatissimo “profeta in patria”. Per lui, a differenza di altri, si è preferito adottare la tecnica dello struzzo. Lo si ignora semplicemente. Siamo i primi a dire che alcune, tra le opere di Marshall, sono troppo fragili per meritare un posto nel mondo delle lettere ed è pure verissimo che la misura del valore di un romanziere non è determinata dalla sua popolarità o dal successo editoriale. […] Ma nel caso di Marshall […] gli editori non hanno fatto altro che venire incontro alla richiesta dei lettori, sfruttando ampiamente il successo incontrato dai primi due o tre romanzi fortunati». (Ivi, p. 164). Rievocando una cena a casa sua in compagnia di Marshall e altri, avvenuta intorno alla metà degli anni Cinquanta, lo scrittore Luigi Santucci annota: «Come molti, allora, anch’io avevo preso una “cotta” per lui. Poi lo abbiamo ridimensionato, ma senza dubbio era un autore originale e piacevole» (L. SANTUCCI, Confidenze a una figlia curiosa, Gribaudi, Milano, 2007, p. 38).
[8] Stando alla pagina web della biblioteca (https://findingaids.library.georgetown.edu/repositories/15/resources/10553) le carte dello scrittore comprendono manoscritti sia di testi editi che inediti, lettere, ritagli di giornale e due tesi di dottorato (Bruce Marshall’s Konzeption des Christentums della religiosa tedesca Chrisophora Kamseder, datata 1972, e La cattolicità di Bruce Marshall di Edda Maria Corvi, del 1977). Le lettere coprono un arco temporale ridotto, limitandosi al 1931, al 1951 e agli ultimi anni di vita di Marshall, ovvero dal 1960 al 1987. Tra queste spiccano le missive di congratulazioni ricevute da Evelyn Waugh e Arnold Lunn che dimostrano la stima di una porzione piccola ma significativa dell’intellighenzia cattolica britannica. Vi è inoltre l’accenno a un’autobiografia intitolata No Apology e rifiutata dagli editori perché giudicata troppo controversa. I ritagli di giornale, perlopiù articoli inerenti ai libri di Marshall, hanno invece il pregio di gettare nuova luce su alcuni aspetti della prima parte della sua carriera, nel complesso poco conosciuta.
[9] Sono le parole usate dello stesso Marshall nell’intervista televisiva con Luigi Silori all’interno del programma Uomini e Libri (1959). Per l’intero colloquio, in cui lo scrittore dimostra di cavarsela abbastanza bene con la lingua di Dante, si veda il link https://www.youtube.com/watch?v=ZVGUzJ2enfY. A proposito della pronuncia italiana di Marshall, Santucci notava in lui – ed è difficile smentirlo – una «cadenza buffa da Stanlio e Ollio» (SANTUCCI, Confidenze a una figlia curiosa, p. 39).
[10] B. MARSHALL, Il capriccio dei gatti, Longanesi, Milano, 1954, p. 13. La protesi ortopedica venne distrutta in un successivo incidente d’auto: «Pensate dunque quanto sono stato fortunato! Spaccarmi, delle due, quella gamba per cui non avevo nessun particolare affetto. Se quell’urto mi avesse rotto l’altra, il povero Bruce non avrebbe più potuto girare il mondo» (cit. in SANTUCCI, Confidenze a una figlia curiosa, p. 39).
[11] Sono gli stessi che il canonico Collins liquida senza troppi complimenti ne Il miracolo di padre Malachia (cfr. B. MARSHALL, Il miracolo di padre Malachia, Jaca Book, Milano, 2008, p. 26).
[12] Dal matrimonio di Sheila con Michael Leslie Ferrar nacquero due maschi, Charles e Nicholas, e una femmina, Leslie. Quest’ultima, classe 1955, è la più nota dei tre avendo ricoperto il ruolo di tesoriere del Principe Carlo d’Inghilterra dal 2005 al 2012. Ha svolto anche incarichi per l’Arcidiocesi di Westminster.
[13] «Si dice di Proudhon che sparò col moschetto in strada per attirare l’attenzione. Qualcosa di simile potrebbe essere detto della pubblicazione de Il miracolo di padre Malachia» (A. BOYLE, The Novels of Bruce Marshall, «The Irish Monthly», ottobre 1948, p. 457). Ovviamente non tutti la pensano così. Ad esempio, in un noto saggio di Griffiths dedicato alla letteratura cattolica britannica è l’unico libro di Marshall ad essere menzionato, definito «uno strano miscuglio di sentimentalismo e stupidità» (R. GRIFFITHS, The Pen and the Cross, Continuum, Londra, 2010, p. 76). Anche secondo Reilly Il miracolo di padre Malachia «è uno sconcertante connubio di esuberanza comica e di acido disprezzo, il gusto che si unisce stranamente a una pungente presa in giro della follia umana» (P. REILLY, Catholics and Scottish Literature 1878-1978, «Innes Review», n. 29, 1978, p. 197).
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Fonte immagini: https://www.bassaromagnamia.it/brm-cmswp/wp-content/uploads/2019/06/longanesi-2.jpg (ritratto di Longanesi); L. SANTUCCI, Confidenze a una figlia curiosa, Gribaudi, Milano, 2007 (fotografia di Marshall); https://en.wikipedia.org/wiki/The_Little_Friend_(Marshall_novel) (copertina “The Little Friend”); https://i.ebayimg.com/images/g/NEYAAOSwh4ZfKhg-/s-l1600.jpg (copertina “Il miracolo di Padre Malachia”).