Volentieri offriamo ai lettori questo importante estratto di Golpe nella Chiesa. Documenti e cronache sulla sovversione: dalle prime macchinazioni al Papato di transizione, dal Gruppo del Reno fino al presente (don Andrea Mancinella, prefazione di don Curzio Nitoglia, postfazione di Aldo Maria Valli). 


[…] Paolo VI reo confesso: il discorso a chiusura del Vaticano II
Pur non trattandosi di un documento conciliare in senso stretto, è interessante riportare anche alcuni brani davvero significativi dell’omelia tenuta da Paolo VI a chiusura del suo Concilio, il giorno 7 dicembre 1965. Esultante per i risultati raggiunti, Papa Montini si lasciò infatti andare ad ammissioni gravissime che, mettendo tra l’altro in risalto lo spirito non cattolico con cui si erano portati avanti i lavori conciliari, avrebbero dovuto far aprire gli occhi a molti: «L’umanesimo laico profano – esclamò Paolo VI – alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. […] Dategli merito in questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo»[1].

Un discorso completamente agli antipodi del grido dell’Apostolo delle Genti, che aveva esclamato: «Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema!»[2], non esitando a mettere in guardia i fedeli verso il figlio di perdizione, l’Anticristo, il quale tra l’apostasia generale si sarebbe contrapposto ed innalzato «sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando sé stesso come Dio»[3]. Ma ecco ora farsi avanti un Paolo VI con il suo Vaticano II che, invece di lanciare l’anatema contro l’umanesimo moderno (ossia contro la religione dell’uomo che si fa Dio come l’Anticristo), l’abbraccia fraternamente. Non più scomuniche, non più Sillabi – triste retaggio degli oscuri tempi preconciliari – bensì unione ibrida e sacrilega tra Cattolicesimo e mondo anticristiano, tra la Chiesa e le idee della Rivoluzione.

Non era difficile a questo punto prevedere ciò che sarebbe accaduto: una volta abbattute le barriere tra la Chiesa e il Mondo, ossia le barriere tra la Verità e l’errore, e di conseguenza anche quelle tra il bene e il male, il gregge si sarebbe disperso. Nel medesimo tempo, i Papi conciliari, illusi da una falsa teologia e ingannati dalle trame dei nemici giurati della Chiesa, si sarebbero gradualmente mutati da Vicari di Cristo in cappellani del massonico Nuovo Ordine Mondiale, nuovi Pontefici di una nuovissima superchiesa ecumenica e liberale ridotta a semplice cartello, luogo di incontro di tutte le religioni. La pace soprannaturale promessa da Gesù Cristo ai suoi fedeli si sarebbe cambiata in una pace tutta umana che avrebbe, sì, unito tutte le genti, ma nell’unica apostasia, di cui l’incontro interreligioso di preghiera ad Assisi nel 1986 sarebbe stato solo un primo segno.

La prova del nove
Non si può dunque onestamente negare, a meno di voler rifiutare l’evidenza, che il Concilio Vaticano II abbia recepito nei suoi principali documenti, più o meno mimetizzate, gran parte delle istanze sia dei primi modernisti, sia dei loro epigoni della nouvelle théologie. A rafforzare questo giudizio, comunque, riteniamo interessante riportare anche alcune significative dichiarazioni in proposito rilasciate sia da parte di esponenti qualificati della nouvelle théologie oggi trionfante […].

a) Nell’estate del 1976, ad esempio, L’Osservatore Romano (quotidiano ufficioso della Santa Sede) dedicava sulla sua famosa terza pagina un articolo celebrativo al noto modernista Tommaso Gallarati-Scotti, dove tra l’altro riconosceva: «Negli ultimi anni, una grande consolazione gli venne (al Gallarati-Scotti, ndr) dal Concilio Vaticano II, perché sentì che le amarezze provate da giovane (a causa della condanna del modernismo, ndr) non erano state sofferte invano: la Chiesa si avviava per un cammino aspro e difficile, in cui però tante cose, allora auspicate, divenivano realtà viva»[4]. Ma, se il Vaticano II era stato una consolazione per il modernista impenitente Tommaso Gallarati-Scotti e se L’Osservatore Romano poteva fare tranquillamente l’elogio di quest’ultimo in epoca postconciliare, dovrebbe essere chiaro come il sole – almeno per chi non vuole accecarsi volontariamente – qual sia il giudizio da dare su un Concilio che ha fatto divenire realtà viva le istanze moderniste: e dovrebbe essere evidente chi comanda oggi nella Chiesa.

b) Da parte sua il sovversivo domenicano Yves Congar (in seguito, come abbiamo visto, creato Cardinale, evidentemente per meriti acquisiti) esultava affermando che, col Vaticano II, «la Chiesa ha fatto la sua pacifica rivoluzione d’ottobre»[5]. Il che – come usava dire ironicamente Guareschi – è bello e istruttivo. O, meglio, più istruttivo che bello.

c) Edward Schillebeeckx O.P., infine, era, more solito, ancora più esplicito: «Il Vaticano II è stato una specie di conferma di quanto avevano fatto i teologi (neomodernisti, ndr) prima del Concilio: Rahner, Chenu, Congar e altri; […] non fu affatto il punto di partenza di una nuova teologia, ma solo il sigillo di quanto alcuni teologi avevano fatto prima del Concilio; di teologi che erano stati condannati, allontanati dall’insegnamento, mandati in esilio, la cui teologia trionfò al Concilio. […] Il Concilio è stato un compromesso. Da una parte è stato un Concilio liberale, che ha consacrato i nuovi valori moderni della democrazia, della tolle- ranza, della libertà. Tutte le grandi idee della rivoluzione americana e francese, combattute da generazioni di Papi, tutti i valori democratici sono stati accettati dal Concilio. Dall’altra, il Concilio non ha potuto dare una risposta ai fermenti di rivolta, che già si preannunziavano. […] Ha accettato un po’ la nostra teologia, confermandoci nella nostra ricerca teologica. Ci siamo sentiti liberi come teologi e liberati dai sospetti, dallo spirito di inquisizione e condanna. Pesava su di noi lo spirito dell’Humani Generis (1950), l’enciclica di Pio XII che condannò Le Saulchoir e la Fourvière: le scuole dei domenicani e dei gesuiti (di Congar, Chenu, de Lubac e soci, ndr). Tutti noi eravamo sospettati prima del Concilio e il Concilio ci ha liberati»[6]. Quando si dice chiarezza.

[…] e) Anche Yves Marsaudon, alto dignitario massonico della Gran Loggia di Francia, innalzava il suo peana per il trionfo dei valori massonici ormai accolti dal Vaticano II: «Se esistessero ancora alcuni isolotti non troppo lontani, nel pensiero, dall’epoca dell’Inquisizione, essi sarebbero con forza annegati nell’alta marea dell’ecumenismo e del liberalismo, di cui una delle conseguenze più tangibili sarà l’abbassamento delle barriere spirituali che dividono ancora il mondo. Con tutto il cuore auspichiamo la riuscita della Rivoluzione di Giovanni XXIII»[8]. E, per chi non fosse ancora soddisfatto, ecco il gran finale: «I cristiani non dovranno dimenticare che ogni strada (ogni religione, ndr) conduce a Dio […] e mantenersi in questa coraggiosa nozione di libertà di pen- siero, che – a questo proposito si può veramente parlare di rivoluzione, partita dalle nostre logge massoniche – si è estesa magnificamente sopra la cupola di San Pietro». Col Vaticano II naturalmente, ragion per cui poteva concludere esultante il Marsaudon: «ogni massone degno di tal nome […] non potrà far a meno di rallegrarsi senza restrizione alcuna dei risultati irreversibili del Concilio»[9]. Senza restrizione alcuna. Chiaro? I sostenitori ad oltranza del Vaticano II, della nuova Chiesa conciliare e dell’irreversibile cammino ecumenico sono in buona compagnia.

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[1] Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II, Allocuzione di Paolo VI, 7 dicembre 1965.
[2] 1 Cor. 16, 22.
[3] 2 Tess. 2, 3-4.
[4] OR, 7 luglio 1976.
[5] Yves Congar, Le Concile au jour le jour. Deuxième session, Paris, 1964, p. 215.
[6] Intervista in Jesus, maggio 1993.
[8] Y. Marsaudon, L’oecumenisme vu par unfranc-maçon de tradition, ed. Vitiano, Paris, 1964, p. 42.
[9] Ivi, p. 121.