Volentieri offriamo ai lettori questi brevi estratti del capolavoro di Padre Angelo Zacchi O.P. L’uomo e la sua natura.


[…] Non è il caso di confutare i principi generali sui quali si appoggiano il kantismo e il positivismo; l’ho fatto ampiamente altrove, e non posso ripetermi[ii]. Mi limito solamente ad osservare, che uno studio inquinato dal pregiudizio anti-metafisico, non può soddisfare nessuna delle nostre più legittime curiosità intorno alla natura umana. Il boicottaggio dei principi metafisici, di cui ci serviamo per risalire dagli effetti alla loro causa, dalle azioni alla loro sorgente, ci condanna alla più scoraggiante impotenza mentale. Obbligare l’intelligenza alle mansioni burocratiche di collezionare e catalogare i dati di fatto, significa costringerla a rinunziare per sempre alla vera conoscenza di noi stessi. Tutti i fanatici idolatri dei fatti non dovrebbero mai dimenticare queste sensate parole di Francesco Bacone, che costituiscono la più severa condanna di tutte le loro esagerazioni: «Tra coloro che fanno professione del sapere, ve ne sono alcuni i, quali, ascoltando solo l’esperienza, non sanno che raccogliere e ammassare dei fatti: sono le formiche della scienza. Altri al contrario non ascoltano che la loro ragione, e fabbricano de sistemi con le astrazioni tratte dallo spirito: sono dei ragni. La vera filosofia, a somiglianza dell’ape, la quale raccoglie il succo de fiori per elaborarlo e trasformarlo, consulta e interroga la storia naturale e l’esperimento; poi interpreta ed illustra i loro dati alla luce dei principii e del ragionamento. È appunto nell’unione di questi due elementi, e nell’impiego simultaneo dell’esperienza e dei principii, che sta riposta la speranza della vera scienza»[iii].
Con uguale buon senso uno scienziato moderno così denunzia l’unilateralità di molti suoi colleghi: «La scienza ha avuto torto di tracciare un vallo profondo attorno al campo del suo lavoro, e di proclamare ad alta voce che al di qua sono i suoi metodi e al di là non restano che attitudini antiscientifiche. Di veramente antiscientifico non v’è che una parziale coltura, che si chiude e si rinchiude in sé medesima»[iv].

[…] A differenza delle azioni puramente materiali dei corpi, le nostre azioni razionali raggiungono oggetti incorporei, oggetti privi di quantità e di spazialità. Noi non conosciamo soltanto la linea, ma anche il punto. Conosciamo ed amiamo, non soltanto gli uomini virtuosi, ma anche la virtù; non soltanto le cose belle, ma anche la bellezza; non soltanto gli atti eroici, ma anche l’eroismo. E le azioni che raggiungono questi oggetti trascendenti, a loro volta, non sono affatto soggette a determinazioni quantitative e spaziali, che permettano di scomporle, pesarle o misurarle. L’idea dell’ente o della causalità non si scompone in molecole non si risolve in atomi; né l’idea della giustizia e del dovere può pesarsi a grammi, misurarsi a centimetri, o ridursi ad una formula chimica. Ad un atto di amore non si può assegnare un punto dello spazio; né è possibile calcolarlo a destra o a sinistra, in alto o in basso. Nella folla sempre rinnovantesi dei nostri sentimenti invano ne cercheremo due perfettamente omogenei, che si prestino ad una vera e propria addizione. Tutte le espressioni usuali, che sembrano contraddire questa verità – come «idee larghe», «pensieri profondi» ecc. – sono semplici metafore. Anche quando poi agiscono dentro i confini del mondo dei corpi, le nostre azioni razionali non hanno per nulla i limiti di quelle materiali. Indifferentemente esse raggiungono le grandi come le piccole cose; un solo corpo, come molti, come innumerevoli corpi. Noi conosciamo un microbo come un gigantesco cetaceo, un fiorellino come una colossale conifera, un sassolino come un montagna, una goccia d’acqua come un oceano, la terra, come tutto il nostro sistema solare, come tutto l’universo. I nostri pensieri e i nostri desideri non hanno limiti, né di spazio, né di tempo. Se il nostro corpo si muove in un momento determinato del presente, i nostri pensieri e i nostri desideri si portano anche nel più remoto passato, e si spingono nel più lontano avvenire. Se il nostro corpo non occupa che pochi centimetri quadrati dello spazio terrestre, i nostri pensieri e i nostri desideri girano liberamente attraverso tutta la terra, e perfino attraverso le immensità dei cieli. Non vi nulla che li arresti, nulla che li freni. Non altezza di monti, non profondità di valli, non impetuosità di fiumi, non larghezza di mari, non qualità di temperatura, non immensurabilità di distanze. Tutte le difficoltà sono vinte; tutti gli ostacoli sono superati. Tutto cede alle forze razionali vincitrici e soggiogatrici della materia. Aiutato da queste forze, l’uomo, che secondo il corpo è un piccolo raggruppamento di atomi, abbatte le montagne, sfida le tempeste più violente, e solca senza timori i liberi spazi dell’aria, come le immensità dell’oceano.

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[ii] Cfr. la parte I della filosofia della religione, Dio.

[iii] Novum Organum, 1, 95.

[iv] Antonino Anile, La salute del pensiero. Bari, 1917, p. X.

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