di Flavio Pisaniello

In questi giorni i cattolici hanno potuto apprendere la notizia dei provvedimenti che il Vaticano starebbe prendendo nei riguardi di Mons. Carlo Maria Viganò, ex Nunzio Apostolico negli USA. La notizia, da parte dell’ex Sant’Uffizio, dell’avviamento di un processo “extragiudiziale” ha certamente rattristato qualunque buon cattolico, fedele alla “vera Roma”, e quindi alla Tradizione.

Da anni Mons. Viganò denuncia una collaborazione tra quello che lui definisce essere il deep-state e la deep-church, e da altrettanti anni denuncia l’aggressione modernista al Corpo Mistico di Cristo. Nel corso di questo tempo il Presule ha utilizzato sempre più chiarezza nelle parole e nel pensiero esposto: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” Mt. V, 37.

L’arcivescovo ha rilanciato il suo apostolato pubblico denunciando il cosiddetto “deep-state” e l’incompetenza sia dottrinale che pratica (caso McCarrick e Rupnik) di Papa Francesco. Quando poi ha sempre più esplicitamente difeso la Tradizione cattolica schierandosi non solo contro le riforme attuate da Francesco, ma anche contro le riforme pluridecennali apportate dal Concilio Vaticano II, ha dimostrato non solo di aver compreso la crisi che infesta la Chiesa nella sua panoramica più generale e completa, ma anche di essere fedele alla Tradizione con la “T” maiuscola.

In una gerarchia composta da vescovi e cardinali che dicono le cose a metà, o non le dicono proprio, Monsignor Viganò ha saputo certamente differenziarsi dalla “massa”. Non è poi certamente da negare che l’ex nunzio risulti essere una figura divisiva per le varie “fazioni della Tradizione”; ad esempio la FSSPX, fondata da Mons. Lefebvre, ha scelto di non sostenere pienamente Viganò a causa delle sue posizioni neo-sedevacantiste. I Sedevacantisti dal canto loro “sostengono” Viganò ma non totalmente perché, secondo loro, dovrebbe “dirla tutta”, dichiarando quindi che anche i predecessori di Francesco non furono papi legittimi. I conservatori invece, che ritengono la crisi essere iniziata solo 11 anni fa col papato di Francesco, appoggiano Monsignore solo quando critica le riforme attuate durante il pontificato bergogliano.

Insomma, vediamo una “macedonia di movimenti” che, tra loro, sono molto divisi sul giudizio della persona di Mons. Viganò. Il mio giudizio personale si pone come via media tra tutte le posizioni prima brevemente elencate; ritengo che un buon tradizionalista non possa non prendere le parti dell’ex nunzio negli Usa: oggi è per noi un faro.

È ovvio che Viganò, in quanto essere umano e quindi fallibile, possa fare o dire delle cose che non sempre sono giuste, ma ricordiamoci che è stato l’unico vescovo della gerarchia attuale (fu consacrato nel 1992 da Giovanni Paolo II) ad alzarsi in piedi e gridare non solo contro il “problema Francesco”, ma anche contro il “problema Concilio Vaticano II”. Personalmente non sono molto convinto della teoria del “vitium consensus” da lui elaborata, ma nonostante ciò lo stimo e ammiro, lo sento come un padre, come un pastore che fa rientrare le pecore smarrite e confuse nel recinto del Signore.

La mia speranza è che tutti quei vescovi considerati conservatori, come Mons. Strickland, Mons. Cordileone, il Card. Burke, Sarah, Mueller, Brandmuller etc. possano giungere alle stesse conclusioni di Monsignor Viganò non tanto sulla legittimità o meno del pontificato bergogliano, quanto alle posizioni sul “Concilio”. Ad esempio, Mons. Vitus Huonder, deceduto recentemente, passando i suoi ultimi anni con la FSSPX giunse ad abbracciare la Tradizione, una Tradizione vera, non solo in senso “anti-bergogliano”, ma “anti-conciliare”, che è cosa ben più completa.

Pur sapendo di non trovare grandi plausi per il mio pensiero, spero di aver fatto riflettere i lettori di questo mio articolo, di aver fatto riflettere i più sull’unicità della persona di Mons. Viganò: ce ne vorrebbero di figure come la sua nella Chiesa, nonostante i difetti che certamente in quanto essere umano ha.

La Chiesa in questo preciso momento storico necessita di Pastori coraggiosi, di Pastori che hanno consapevolezza della crisi e delle sue origini “conciliari”, di Pastori che nel loro parlare utilizzino il celebre “sì, sì; no, no”.


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