Dal XIII (e ultimo) volume della Storia universale della Chiesa a cura del Card. Hergenröther – Il Kulturkampf, il Concilio Vaticano I, i pontificati fino a Benedetto XV – presentiamo il seguente estratto. Ci racconta i trionfi della Chiesa in terra britannica, prima che la crisi modernistica spegnesse questo benefico incendio della Fede.
La propensione verso la Chiesa, che si era fatta sempre più notevole in Inghilterra dopo l’emancipazione dei cattolici (1829), fu rinforzata dal movimento ritualista di Oxford. Parecchi membri dell’università di Oxford, nel 1833, mossi dallo spettacolo della corruzione dello straricco clero episcopale e dal razionalismo che andava sempre più prevalendo, vennero nel pensiero di promuovere una riforma nell’Alta Chiesa, mediante il ritorno all’antichità cristiana, e scansando gli «estremi» tanto dell’ultraprotestantesimo liberale quanto del romanismo.
Mediante la preghiera, la più frequente partecipazione alla santa Cena, il buon esempio, le prediche e gli scritti, essi volevano ridestare il sentimento religioso, portare alla conoscenza di tutti molte antiche verità cristiane, che non erano conosciute o non bastevolmente pregiate, mantenersi fedeli all’ordinamento apostolico dei vescovi e del clero loro soggetto. Con una sua predica tenuta in Oxford, il 14 luglio 1833, sopra l’«apostasia nazionale» e poi pubblicata per le stampe, Giovanni Keble dette l’inizio ad un ampio movimento, il quale dai «trattati contemporanei» (90 in tutto, fino al 1841), pubblicati da Giovanni Enrico Newman e dai suoi amici, ebbe il nome di trattariano, e dalla operosità del professore Ed. B. Pusey quello di puseismo.
In molti dogmi costoro si avvicinavano alla Chiesa Cattolica, cioè intorno alla tradizione, alla giustificazione, alla presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, ad uno stato di purificazione nell’altra vita, alla venerazione dei santi, delle reliquie, delle immagini; solamente essi pretendevano che questi dogmi fossero stati sfigurati nella Chiesa romana, e deturpati con l’aggiunta di molte deformità, laddove nella loro comunità anglicana trovavano la vera Chiesa cattolica con i veri vescovi ed i veri sacramenti. Ma ben presto in molti di questi studiosi sorse il dubbio sulla stabilità dell’anglicanismo, onde si avvicinavano ancor più al Cattolicesimo, sebbene cercassero di sfuggirlo, tacciandolo di romanismo superstizioso e di papismo. Ma la forza delle conseguenze spinse a quel che si voleva evitare, e cominciando dal 1838 parecchi seguaci di quel movimento passarono alla Chiesa cattolica.
Il Pusey e il Newman, i più autorevoli fra i trattariani, cercarono di impedire queste conversioni; il Newman anzi si sforzò a dimostrare che i 39 articoli dell’Alta Chiesa erano dottrine antiche della Chiesa cattolica, e in tutto conformi alle definizioni del Concilio di Trento. Ma contro questo trattato (90) sorsero molti oppositori; i vescovi anglicani, uno dopo l’altro, si dichiararono in senso contrario; il vescovo di Oxford, anzi, provocò la soppressione dei «trattati contemporanei».
Il Newman incominciò a dubitare della sua chiesa anglicana, quando i vescovi condannarono il suo tentativo amichevole di mostrare le concordanze della dottrina anglicana con la romana, e al tempo stesso, per la fondazione della diocesi anglo-prussiana in Gerusalemme, li vide entrare in comunione ecclesiastica con i protestanti «eretici». Nel 1843 si ritirò dalla sua parrocchia, e il 9 ottobre 1845, dopo nuovi studi, si convertì in Roma alla Chiesa cattolica, diventò nel 1847 sacerdote ed oratoriano e da quel tempo lavorò con grande efficacia per la difesa del Cattolicesimo. La sua conversione ne trasse seco molte altre; come quella del Faber e di altri, che divennero ornamento della Chiesa cattolica. Il Pusey, al contrario, non volle separarsi dall’anglicanesimo, sebbene nel 1842, con diffuse circolari, avesse difeso il Newman, e nel 1853 biasimato fortemente le mene scismatiche del Gobat, vescovo protestante di Gerusalemme, il quale voleva convertire al protestantesimo greci ed armeni scismatici; onde per questo e per altre ragioni il Pusey era inviso alla gerarchia anglicana, e di più vedeva con dolore l’accrescersi dell’incredulità fra gli anglicani, anzi tollerarsi errori manifesti dalla Chiesa dello Stato.
Fatto accorto dal Manning (1864) della sua incoerenza, egli nel 1866 dichiarò che, secondo il suo sentimento, la chiesa anglicana, la romana e la greca erano tre parti separate della Chiesa cattolica; la loro riunione essere possibile e da promuoversi dalla chiesa d’Inghilterra, quando però la Chiesa romana avesse ristretto il papismo e il culto della Vergine. Molti altri ecclesiastici si accostavano alla Chiesa cattolica, ma aspettavano dal tempo la cattolicizzazione della chiesa di Stato.
La tendenza ritualista verso il Cattolicesimo si mantenne sempre in progresso, sebbene combattuta continuamente dalla tendenza razionalistica e anche mal vista dalla maggior parte dei vescovi. Ma a poco a poco novecento dei più colti trattariani ritornarono all’antica chiesa, sì che questa rifioriva di continuo per nuove conversioni di eminenti personaggi[ii]. Già fino dal 29 settembre 1850, Pio IX aveva ricostituito la gerarchia cattolica in Inghilterra con 12 (poi 15) vescovadi e con l’arcivescovado di Westminster. Questa ultima dignità fu conferita insieme con la porpora cardinalizia a Niccolò Wiseman, nato nel 1802 a Siviglia da una famiglia irlandese, nel 1818 alunno e quindi rettore del collegio inglese in Roma, dal 1840 vicario apostolico, uomo che aveva meriti straordinari, sia come dotto sia come direttore delle anime.
La disposizione pontificia eccitò in estremo la collera dei protestanti fanatici; numerosi discorsi furono tenuti, diffusi scritti, messi su tumulti popolari al grido: Niente papismo! Il parlamento promulgò nel 1851 un bill speciale sui titoli, sul vestiario e sui conventi; e proibì ai cattolici i titoli vescovili col nome di città inglesi, e di portare in pubblico l’abito ecclesiastico proprio. Ma la tempesta passò senza gravi danni; la gerarchia stabilita continuò ad esistere in pace, e dopo venti anni il bill fu soppresso. Il cardinale Wiseman pubblicò un dignitoso manifesto al popolo inglese che fece grande impressione; le conversioni divennero anche più numerose che nei tempi anteriori; nel 1851 si convertirono trentatré ministri anglicani, tra i quali Enrico Eduardo Manning, l’Henry, e Roberto Wilberforce. Nel 1852, il Wiseman convocò un concilio ad Oscott, al quale ne fece seguire altri due (1855 e 1859).
Con le sue pubbliche conferenze e i suoi scritti egli ottenne gran frutto; promosse la stampa cattolica, e fu in ogni parte operosissimo. Morì il 15 febbraio 1865. Gareggiò con lui in celebrità il suo successore Enrico Eduardo Manning, dal 1874 anch’egli cardinale. Fu molto attivo al concilio vaticano e respinse vigorosamente, insieme con l’oratoriano Newman, gli assalti che il Gladstone aveva mosso alla lealtà dei cattolici e ai decreti del concilio[iii].
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[ii] Newman, Tracts for the Times. Oxford, 1833 s. Pusey, Das heilige Abendmahl. Ein Trost fur die Bussfertigen. Dall’inglese di Willmann. Regensburg, 1844. Pusey, Spiritual letters, ed. By Johnston and Newboldt, London, 1901. Manning, The workings of the Holy Spirit in the Church of England. A letter to Rev. E. B. Pusey. London, 1864. E. B. Pusey, The Church of England. London, 1866. Cfr. Reusch in Bonner theol. Literatursblatt, 1866, n. 3, 4, p. 73 ss. 94 ss. Newman, Apologia pro vita sua, being a history of his religious opininions; in Tedesco: Geschichte meiner religiosen Meinungen di Schundelen, Koln, 1865.
[iii] Costituzione di Pio IX Universalis Ecclesiae del 29 settembre 1850 in Acta Pii IX, I, 235-246. Wisemans Manifest oder Appellation an den Rechts und Billigkeitssinn das englischen Volkes in Betreff der Hierarchie. Regensburg, 1851. Archiv für kathol. Kirchenrecht XXXIV, 3 ss. Coll. Lac. III, 895; et v. Newman, […] Freiburg, 1875.