Nell’anno del Signore 1263 si verificò uno dei principali miracoli eucaristici: il Miracolo di Bolsena. Sedeva sul trono di san Pietro papa Urbano IV. Questi messo a conoscenza dei fatti, a ordinò quindi al vescovo di Orvieto di recarsi a verificare della veracità di quanto gli si riferiva e di portare presso di lui (la corte papale stava ad Orvieto) l’ostia e i corporale insanguinato. Lo datava inoltre di due accompagnatori: nientemeno che san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio. Fatte le indagini canoniche prescritte, il Pontefice decise di istituire per tutta la Chiesa la festa del Santissimo Corpo di Cristo (il Corpus Domini), affidandone la composizione dei testi della messa e dell’ufficio all’Aquinate. L’istituzione fu stabilita per mezzo della bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264, che di seguito integralmente riportiamo.
URBANO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
AI VENERATI FRATELLI PATRIARCHI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E ALTRI PRELATI
Cristo, il nostro Salvatore, stando per partire da questo mondo per ascendere al Padre, poco prima della sua Passione, nell’Ultima Cena, istituì, in memoria della sua morte, il supremo e magnifico sacramento del Suo Corpo e Sangue, dandoci il Corpo come cibo e il Sangue come bevanda.
Infatti, ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice, annunciamo la morte del Signore. Egli ha detto agli apostoli istituendo questo sacramento: “Fate questo in memoria di me” (Luc. 22, 19), in modo che questo eccelso e venerabile sacramento fosse per noi il principale e il più insigne ricordo del grande amore con cui Egli ci ha amato. Memoriale mirabile e meraviglioso, dolce e soave, carissimo e prezioso, in cui si rinnovano i prodigi e le meraviglie; in esso sono tutte le delizie e i sapori più delicati, nel quale si gusta la stessa dolcezza del Signore e, soprattutto, si ottiene la forza per la vita e per la nostra salvezza.
È un memoriale dolcissimo, sacrosanto e salutare in cui rinnoviamo la nostra gratitudine nel ricordo della nostra redenzione, ci allontaniamo dal male, ci consolidiamo nel bene e progrediamo nell’acquisizione delle virtù e della grazia, siamo confortati dalla presenza corporea del nostro stesso Salvatore, perché, in questa commemorazione sacramentale di Cristo, è presente Lui in mezzo a noi, in modo diverso, ma nella sua vera sostanza.
Nell’imminenza della sua Ascensione al cielo disse agli apostoli e ai loro successori: “Ecco, io sono sempre con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 10) e li consolò con la benevola promessa che sarebbe rimasto con loro anche con la sua presenza corporale.
Memoriale veramente degno di non essere dimenticato, con il quale ricordiamo che la morte è stata vinta, che la nostra rovina è stata distrutta dalla morte di Colui che è la stessa vita, che un albero pieno di vita è stato innestato su un albero di morte per produrre frutti di salvezza!
È un memoriale glorioso che riempie di gioia salvifica l’anima dei fedeli, mentre con l’infusione della letizia somministra lacrime di devozione. Siamo pieni di gioia al pensiero della nostra liberazione, e commemorando la Passione del Signore, per la quale siamo stati salvati, a stento possiamo trattenere le lacrime. In questa sacrosanta celebrazione, sono in noi gioia mista a lacrime, perché gioiamo piangendo pii, e lacrimiamo gioendo devoti, avendo liete lacrime e letizia piangente. Infatti anche il cuore, invaso di grande gioia, stilla dagli occhi dolci lacrime.
Infinita grandezza dell’amore divino, immensa e divina pietà, copiosa effusione celeste! Dio ci ha dato tutto nel momento in cui ha sottomesso ai nostri piedi e ci ha affidato il dominio supremo di tutte le creature sulla terra. Nobilita e sublima la dignità degli uomini attraverso il ministero degli spiriti più eletti. Poiché tutti sono stati destinati a esercitare il ministero al servizio di coloro che hanno ricevuto l’eredità della salvezza.
Ed essendo stata così vasta la munificenza del Signore nei nostri confronti, volendo mostrarci ancora di più il suo infinito amore, nel suo abbassamento si offrì egli stesso e superando le più grandi generosità e ogni misura di carità, si diede come cibo soprannaturale.
Liberalità singolare e ammirevole, in cui il donatore viene come dono, e il dono e colui che dà sono la stessa realtà! È davvero grandezza infinita quella di colui che si dà e accresce la sua disposizione affettuosa a tal punto che ciò, distribuito in un gran numero di doni, alla fine sovrabbonda e ritorna al donatore, tanto maggiore quanto più si è diffuso.
Pertanto, il Salvatore si è dato come cibo; volle che, nello stesso modo in cui l’uomo era stato sepolto nella rovina dal cibo proibito, vivesse di nuovo per un cibo benedetto; l’uomo cadde per il frutto di un albero di morte, risuscita per un pane di vita. Da quell’albero pendeva un cibo mortale, in questo c’è un cibo di vita; quel frutto ha portato il male, questo la guarigione; un appetito malvagio ha fatto il male e una fame diversa genera il beneficio; la medicina arrivò dove la malattia aveva invaso; da dove era partita la morte, venne la vita.
Di quel primo cibo fu detto: “Il giorno in cui ne mangerai morirai” (Gen. 2, 17); del secondo è stato scritto: “Chiunque mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 52).
È un alimento che ristora e nutre veramente, sazia al massimo grado non il corpo, ma il cuore; non la carne, ma lo spirito; non i visceri, ma la mente. L’uomo aveva bisogno del cibo spirituale e il misericordioso Salvatore fornì, con attenzione colma di pietà, il cibo dell’anima con la migliore e più nobile prelibatezza.
La generosa liberalità salì al culmine del bisogno e la carità eguagliò la convenienza, così che la Parola di Dio, che è prelibatezza e cibo per le creature razionali, fattosi carne, si diede come cibo alle creature stesse, cioè alla carne e al corpo dell’uomo. L’uomo, quindi, mangia il pane degli angeli di cui il Salvatore disse: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda” (Gv 6, 56). Questo cibo viene preso, ma non viene consumato, viene mangiato, ma non viene trasformato, perché non diventa colui che lo mangia, ma se viene ricevuto con dignità, rende colui che lo riceve simile a Lui. Eccelso e venerabile sacramento, amabile e adorato, sei degno di essere celebrato, esaltato con la lode più commossa, dai canti ispirati, dalle fibre più intime dell’anima, dai doni più devoti, sei degno di essere ricevuto dalle anime più pure!
Memoriale glorioso, dovresti essere tenuto tra i più profondi battiti del cuore, impresso indelebilmente nell’anima, trattenuto nelle intimità dello spirito, onorato con la pietà più assidua e devota!
Dobbiamo celebrare la continua memoria di un tale memoriale, affinché di Lui, di cui conosciamo lo stesso memoriale, siamo sempre memori, perché colui di cui contempliamo il dono e la ricchezza frequentemente, questi è ospitato più strettamente nel profondo della memoria.
Sebbene questo santo sacramento venga celebrato ogni giorno nel solenne rito della Messa, tuttavia riteniamo che sia utile e degno celebrare, almeno una volta all’anno, una festa più solenne, soprattutto per confondere e confutare l’ostilità degli eretici.
Difatti il Giovedì Santo, nello stesso giorno in cui Cristo ha istituito questo Sacramento, la Chiesa Universale, impegnata nella riconciliazione dei fedeli, nella benedizione del crisma, nell’adempimento del comandamento della lavanda dei piedi e in molte altre sacre cerimonie, non può prestare piena attenzione alla celebrazione di questo grande sacramento.
Allo stesso modo in cui la Chiesa guarda ai santi, che sono venerati durante l’anno, e sebbene nelle Litanie, nelle Messe e in altre funzioni, la loro memoria si rinnovi con grande frequenza, tuttavia ricorda il loro dies natalis in alcuni giorni, con più solennità e funzioni speciali. E poiché in queste feste forse i fedeli omettono alcuni dei loro doveri a causa di negligenza o occupazioni mondane, o anche a causa della fragilità umana, la Santa Madre Chiesa stabilisce un giorno specifico per la commemorazione di tutti i santi, fornendo in questa festa comune ciò che è stato trascurato in quelle particolari.
Soprattutto, quindi, è necessario adempiere a questo dovere con l’ammirevole Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, che è gloria e corona di tutti i Santi, in modo che risplenda in una speciale festività e solennità e che ciò che forse è stato trascurato nelle altre celebrazioni della Messa, per quanto riguarda la solennità, sia supplito con scrupolosa diligenza; e così i fedeli, mentre questa festività si avvicina, entrando in se stessi, pensando al passato con attenzione, umiltà di spirito e purezza di coscienza, suppliscano a ciò che avessero compiuto in modo difettoso nel partecipare alla Messa, forse impegnati con il pensiero negli affari mondani o più ordinariamente a causa della negligenza e debolezza umana.
In una certa occasione abbiamo anche sentito dire che, quando stavamo svolgendo un ufficio più modesto, Dio aveva rivelato ad alcuni cattolici che era necessario celebrare questa festa in tutta la Chiesa; pertanto abbiamo ritenuto opportuno stabilirlo in modo tale che, in modo dignitoso e ragionevole, la fede cattolica sia rivitalizzata ed esaltata.
Pertanto, per rafforzare la grandezza della fede cattolica, abbiamo deciso che ogni anno venga celebrata una festa speciale e solenne di un così grande Sacramento, oltre alla commemorazione quotidiana che la Chiesa ne fa, e stabiliamo un giorno fisso per esso, il primo giovedì dopo l’ottava di Pentecoste. Stabiliamo anche che nello stesso giorno si riuniscano per questo fine folle di fedeli nelle chiese devote, con generosità di affetto, e tutto il clero, e il popolo, gioioso, intoni canti di lode, che le labbra e i cuori siano pieni di santa gioia; canti la fede, sussulti la speranza, esulti la carità; la devozione palpiti, esulti la purezza; possano i cuori essere sinceri; possano tutti unirsi con diligente animo e pronta volontà, impegnati a preparare e celebrare questa festa. E voglia il cielo che il fervore infiammi le anime di tutti i fedeli al servizio di Cristo, che attraverso questa festa e altre opere di bene, aumentando ogni volta i propri meriti davanti a Dio, dopo questa vita, si dia Lui stesso come ricompensa per tutti, poiché per ognuno è stato offerto come cibo e come prezzo di riscatto.
Pertanto vi raccomandiamo ed esortiamo tutti nel Signore e attraverso questa Bolla Apostolica vi ordiniamo, in virtù della Santa Obbedienza, con rigoroso precetto, imponendolo come remissione dei vostri peccati, di celebrare devotamente e solennemente questa festa così esaltata e gloriosa e di impegnarvi con tutta l’attenzione a celebrarla in tutte le chiese delle vostre città e diocesi, il menzionato giovedì di ogni anno, con le nuove letture, responsori, versi, antifone, salmi, inni e orazioni proprie della stessa, che includiamo nella nostra Bolla insieme alle parti proprie della Messa; vi ordiniamo anche di esortare i vostri fedeli, con raccomandazioni salutari direttamente o attraverso altri, la domenica che precede il giovedì menzionato, in modo che con una vera e pura confessione, con generose elemosine, con preghiere attente e assidue e altre opere di devozione e di pietà, si preparino in modo da poter partecipare, con l’aiuto di Dio, a questo prezioso Sacramento e possano, il detto giovedì, riceverlo con riverenza e ottenere così, con il Suo aiuto, un aumento di grazia.
E desiderando incoraggiare i fedeli con doni spirituali a celebrare con dignità una così grande festa, garantiamo a tutti coloro che, pentiti e confessati veramente, partecipino alle Lodi di questa festa, nella chiesa in cui è celebrata, cento giorni di indulgenza; altrettanto per la Messa e, allo stesso modo, per coloro che partecipano ai primi Vespri di questa stessa festa e ai secondi; e a tutti coloro che partecipano all’Ufficio di Prima, Terza, Sesta, Nona e Compieta, quaranta giorni per ogni ora. Infine, a tutti coloro che partecipano alle Lodi e ai Vespri, alla Messa e alla recita dell’Ufficio durante l’ottava, concediamo cento giorni di indulgenza per ogni giorno confidando nella misericordia di Dio Onnipotente e nell’autorità dei suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Orvieto l’11 agosto del 1264, terzo anno del nostro pontificato.
La festa fu confermata da Clemente V e da altri Sommi Pontefici. Finalmente il Concilio di Trento nel Decreto sull’Eucaristia riaffermò l’importanza della solennità del Corpus Domini e della relativa processione come bella testimonianza di fede e carità verso Gesù Sacramentato contro gli eretici.

Seguite Radio Spada su:
- il nostro negozio: www.edizioniradiospada.com;
- Telegram: https://t.me/Radiospada;
- Gloria.tv: https://gloria.tv/Radio%20Spada;
- Instagram: https://instagram.com/radiospada;
- Twitter: https://twitter.com/RadioSpada;
- YouTube: https://youtube.com/user/radiospada;
- Facebook: https://facebook.com/radiospadasocial
FONTEculturacattolica.it
FONTE IMMAGINE commons.wikimedia.org