di Luca Fumagalli
Ovviamente – e questo vale per personaggi trattati tanto nei vari articoli quanto nei libri – il giudizio complessivo su figure di spicco della letteratura, ora eccentriche, ora controverse, deve tenere come supremo criterio quello della Dottrina Cattolica: salvare il buono, rigettare il cattivo, usare prudenza per tutto [RS]
Senza ombra di dubbio Peter Levi (1931-2000) può essere annoverato tra i poeti cattolici, pur se tormenati e chiaroscurali, più significativi del secondo Novecento inglese.
Questi era il rampollo di una famiglia ebraica, originaria di Istanbul, che abitava nella parte nord di Londra. Il padre si era convertito al cattolicesimo grazie all’influenza della moglie, una donna pia e devota, e sia Peter che il fratello Anthony, una volta cresciuti, decisero di prendere i voti diventando gesuiti (la loro unica sorella si fece invece suora). Peter studiò dapprima al Heythrop College per poi approfondire i classici alla Campion Hall di Oxford. Dall’esperienza nacque in lui quel profondo amore per la Grecia classica che attraversa molta della sua produzione successiva, sia in versi che in prosa.
Per svariati anni occupò un posto di insegnante, dimostrandosi un maestro affabile ma anche severo, consapevole dell’importanza che l’educazione rivestiva nella vita dei tanti giovani che anno dopo anno vedeva passare sotto i suoi occhi (Elizabeth Jennings lo definì, in una manciata di suoi versi, un tipo solo all’apparenza fragile, ma in verità forte come l’acciaio). Pur incline alla provocazione, era anche un uomo devoto, perciò quando nel 1977 annunciò la sua intenzione di abbandonare il sacerdozio e di ottenere la dimissione dallo stato clericale e dall’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola, la notizia colse tutti di sorpresa.
Tuttavia la sua Fede rimase inalterata come dimostrano sia la sua autobiografia che svariate opere che produsse dopo questa data, incluse alcune traduzioni della Bibbia, un’antologia della poesia cristiana e un volume dedicato ai monaci e ai monasteri. Né va dimenticata quella porzione della sua produzione poetica più marcatamente cattolica, scritta per la maggior parte negli anni a cavallo della sua uscita dai gesuiti.
In particolare la raccolta del 1971 Death is a Pulpit e il lungo poema Good Friday Sermon 1973 rivelano una voce fresca e originale, capace di piegare le forme poetiche tradizionali all’esigenza di esprimere l’angoscia che allora lo tormentava.
Tra i suoi autori di riferimento vi erano Gerard Manley Hopkins, a cui dedicò una breve monografia, il war poet David Jones e David Gascoyne, che descrisse come «un poeta visionario». La produzione di Levi degli anni 1971-1973, però, deve poco a nulla a queste influenze. Christmas Sermon, per esempio, prende le mosse alla maniera di una predica tradizionale per poi frantumarsi in una serie di immagini apparentemente slegate, espresse in versi sconnessi:
Sono spaventato dalla santità e dalla luce.
Da qualche parte tutto sta ricominciando,
peggio di un sogno. Il Natale sta ricominciando,
la luce della lampada soffoca nel crepuscolo sul mio tavolo
[…].
I muri delle case tremano e sudano nella strada secondaria,
i municipi sporchi ripetono e ripetono
ciò che la mia bocca lascia cadere, ciò che l’inglese non può dire,
rosei pneumatici di rose, giorno di Natale.
Sono terrorizzato da ciò che sta iniziando.
(I am frightened by sanctity and light. / Somewhere it is all starting again, / worse than a dream. Christmas starting again, / lamplight choking to twilight on my table / […] / The house-walls shiver and sweat in the back-street, / grimy town-halls repeat and repeat / what my mouth drops, what English cannot say, / pink motor-tyres of roses, Christmas day. / I am terrified by what is beginning).
D’altra parte Whitsunday Sermon e Good Friday Sermon 1973 appaiono più lineari e speranzose, liriche in cui i conflitti umani trovano lieta risoluzione nella Grazia divina. In Good Friday Sermon 1973 l’inadeguatezza del poeta è resa palese – «Sono un legno marcio, / non vi è alcun frutto in me» (I’m rotten, wood, there is no fruit in me) – ma il sacrificio di Cristo infonde nel mondo una nuova speranza a cui si accompagna la certezza che le porte dell’Inferno non prevarranno.
Nel 1981, in un’elegia dedicata all’amica e collega Anne Pennington, appena scomparsa, Levi volle per l’ultima volta proclamare il suo credo, alla base del quale vi era «l’amore di Dio / mediato nello spezzare del pane» (the love of God / mediated in the breacking of the Bread).
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Fonte immagine di copertina: https://www.amazon.co.uk/Peter-Levi-Vintage-Press-Photo/dp/B095MS6DCS