Dal capolavoro di Padre Angelo Zacchi O.P. L’origine e i destini dell’uomo presentiamo questi importanti estratti.
[…] «Riflettiamo – dirò con Platone – alle cose verso le quali [l’anima] inclina, agli oggetti con i quali cerca il commercio, e soprattutto agli stretti legami che ha naturalmente con quanto è divino, immortale, imperituro»[i]. Il mondo, sul quale ci affacciamo per mezzo dell’introspezione, offre uno spettacolo meraviglioso, di fronte al quale impallidiscono tutti gli spettacoli più sorprendenti della natura sensibile. Gli orizzonti si fanno più vasti e le visioni più luminose; la sfera dell’attività si distende in immensità senza confini. Sulle ali potenti dell’intelligenza e della volontà l’anima sale al di sopra del mondo materiale, dove s’arrestano i sensi. Essa si spinge fino alle luci invisibili per gli occhi, fino ai suoni impercettibili alle orecchie; al di là dei corpi che si dis-solvono; al di là de viventi che muoiono; al di là delle cose fugaci, contingenti, corruttibili; nel regno della necessità, dell’immutabilità, dell’eternità. Essa conosce ed ama la verità, la bontà, la bellezza, la giustizia, la virtù, la felicità, ecc. Essa conosce ed apprezza i principii universali e necessari della mente, che non subiscono vicissitudini di tempo: veri soli senz’eclissi, senza tramonti[ii]. Essa conosce ed ama Dio, l’assoluto, l’infinito, l’eterno, l’immortale. Queste conoscenze e questi affetti e desideri delle cose incorruttibili sono nell’anima intellettiva come nel loro soggetto naturale; ne costituiscono la vera ricchezza, la vera perfezione. Per essi l’anima ragionevole si differenzia profondamente dagli altri principii della vita; per essi l’uomo si lascia indietro tutti gli altri esseri del mondo sensibile. Son essi che danno la misura esatta della sua grandezza reale e della sua reale bellezza. Tutto il resto è ombra della realtà, nebbia e fumo che, anche quando non macchia, nulla aggiunge e a nulla giova.
Ora se l’anima intellettiva è il soggetto naturale di cose incorruttibili, se queste ne costituiscono il vero e proprio natural compimento, la vera e propria natural perfezione, non è ammissibile che l’anima sia di natura sua corruttibile. Tra il soggetto naturale e la cosa che vi si contiene, tra il soggetto e la perfezione che l’attua e lo compie, v’è sempre una stretta proporzione. La pietra non può albergare la vita, né la pianta divenire il soggetto naturale e proprio del pensiero. L’anima intellettiva, quindi, non potrebb’essere il naturale soggetto dell’entità psichiche incorruttibili, né venirne attuata e compita, se non fosse ad esse porporzionata ed affine, se non fosse, com’esse, incorruttibile[iii].
[…] P. Coconnier ha esposto quest’argomento con grande chiarezza ed eloquenza: «Le cose sensibili e i fatti – egli scrive – non servono all’anima, che per rendere il suo slancio: presto dai fatti essa sale alle leggi, alle cause, ai principii… Ciò che l’attira è l’universale, sono le verità necessarie, immutabili, eterne… Indubbiamente lo spettacolo della creazione è meraviglioso e affascinante, ma non esercita sull’anima quella stessa attrattiva irresistibile, che vi esercita la contemplazione delle verità razionali. Ricordate l’entusiasmo di Pitagora, quando sacrificava la sua giovenca alle muse per avergli fatto scoprire qualcuna dell’eterne proprietà d’una figura geometrica. Ricordate Archimede che, meditando sopra i rapporti immutabili dei numeri, non scorge più nemici e la morte che s’avvicina. Udite Platone, il quale celebra la felicità di coloro, che contemplano il bello e il buono nelle arti, nella natura e nella loro sorgente e nel loro principio, che è Dio. Voi sapete come Aristotele loda i momenti felici nei quali l’anima non è innamorata che della conoscenza del vero e come giudichi una tal vita solo degna di Dio; e con quale sicurezza pure affermi che la più piccola luce, venuta a noi dal mondo delle verità eterne e divine, è incomparabilmente più dolce e preziosa di tutti gli splendori del nostro sole. Voi sapete finalmente come i santi sono così rapiti di quel divino esercizio che consiste nel conoscere amare e lodare Dio, da non abbandonarlo mai, e da spengere tutti i desideri sensuali per poterlo continuare in tutto il corso della loro vita. Ecco il fatto. La nostra anima prova compiacenza e diletto nel necessario, nell’eterno, nell’immutabile. È qui ch’essa respira, è qui che si dilata, è qui che gode. Tale la sua natura. Ma che suppone il godimento? Non suppone forse una corrispondenza fra il soggetto che gode e l’oggetto che lo fa godere? Non suppone forse una proporzione e un punto per il quale essi si toccano e convengono? Se l’occhio gode della luce, l’orecchio dell’armonia e il palato del nutrimento saporito, non è forse perché tra l’occhio e la luce, l’orecchio e l’armonia, il palato e il nutrimento esiste un rapporto, una somiglianza e una convenienza di natura? Dunque, se l’anima umana gode principalmente di quello che è al di sopra del tempo e senza limiti, ciò avviene perché anch’essa di sua natura domina il tempo e possiede di diritto un’esistenza senza fine»[iv].
Oggetto della scienza propriamente detta è l’universale, e la mente per conquistarlo deve strapparlo, per così esprimermi, alle cose sensibili in cui è incluso, astraendo dalle note individuanti della materia che lo avviluppano. Perciò secondo gli Aristotelici le scienze vengono distribuite in tre distinte categorie, ordinate secondo il loro grado d’astrazione dalla materia[v]. Come me si è già visto, stanno all’infimo grado le scienze fisiche che fanno soltanto astrazione dalla materia singolare (si occupano in modo generale dei vari corpi e delle varie energie corporee). Vengono poi in un grado più elevato le scienze matematiche, che fanno astrazione anche dalla materia sensibile, ma non da quella intelligibile (si occupano delle quantità). All’ultimo grado stanno le scienze metafisiche, che fanno astrazione da ogni materia, anche intelligibile (l’ente e le proprietà dell’ente, di cui si occupano, sfuggono ad ogni figurazione sensibile, ad ogni misura quantitativa). Come la scienza, così la virtù esige un certo distacco dal corpo. Essa è quasi una lotta continua contro le nostre prave passioni, contro le prepotenze della carne, contro le ingiustificate esigenze della nostra sensibilità. L’ideale più alto della perfezione è vivere nel corpo come se si fosse fuori del corpo. Una vita fisica troppo esuberante, un’indulgenza eccessiva verso i bisogni spesso fittizi e artificiali del nostro corpo, non sono favorevoli, né al progresso nel sapere, né al progresso nel bene.
Parlando dei due vizi più comuni, S. Tommaso fa queste belle osservazioni[vi]: «Il piacere ci spinge ad applicarci alle cose delle quali godiamo, onde il Filosofo dice che ognuno fa in modo perfetto le cose che gli procurano piacere; mentre, o non fa per nulla quelle che non glielo procurano, o le fa imperfettamente. Ora, i vizi carnali della gola e della lussuria riguardano i piaceri del tatto, dei cibi cioè, e delle cose veneree, che sono i più intensi fra tutti piaceri corporali. In conseguenza questi vizi dirigono in sommo grado l’intenzione umana alle cose corporali, e per contraccolpo indeboliscono l’applicazione alle cose spirituali; e più la lussuria che la gola, di quanto l’intensità dei piaceri venerei supera quella dei piaceri della mensa. Dalla lussuria perciò ha origine la cecità della mente, che esclude quasi completamente la conoscenza delle cose spirituali; dalla gola invece l’ottusità, che solo l’indebolisce. All’opposto le virtù contrarie, che sono l’astinenza e la castità, rendono l’uomo sommamente disposto alla perfezione della conoscenza intellettuale».
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[i] Repub., X, 609.
[ii] Anche i negatori della perpetuità dell’anima parlano continuamente dell’eternità della materia e della forza, dello svolgersi perenne della storia del mondo, del progresso indefinito della natura, ecc.
[iii] C. Gent., II, 55, 79; S. Agostino, Soliloquia, II, 13, 19; De immortalitate animae, cap. I et seq.
[iv] L’âme humaine, p. 329.
[v] Sum. Theol., I, q. 85, a. 1.
[vi] Sum. Theol., II, IIae, q. 15, a. 3.
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