Dal capolavoro di Padre Angelo Zacchi O.P. L’origine e i destini dell’uomo.


[…] Raccolti da ogni parte i materiali, si sbozzano, si squadrano e s’affinano; poi si ordinano secondo un determinato disegno, e l’edificio comincia a spuntare, a prendere forma e consistenza, ad allargarsi ed ingrandirsi sempre più, a sempre più spingersi verso l’alto, verso l’azzurro. La via della verità si fa continuamente più larga, più libera, più luminosa. La natura fatta docile getta uno dopo l’altro i suoi veli, manifesta uno dopo l’altro i suoi segreti, e la visione diventa più vasta, più profonda. Dai fatti risaliamo ai principii, dalle leggi particolari a quelle generali, e diamo vita alle grandi sintesi scientifiche. Dai ponti gettati tra i diversi campi del sapere la mente estasiata ammira gl’immensi panorami dell’universo, e ne ascolta le divine armonie. E su queste altezze, toccate solo da pochi, che s’acquista la piena consapevolezza delle deficienze del sapere umano.

Finché si è in basso, dentro una sfera ristretta, di fronte ad un orizzonte molto limitato, si può avere l’illusione d’afferrare tutta la realtà; ma in alto, sui più eminenti osservatori del vero, cade ogni presunzione, e si fa vivo il sentimento della nostra impotenza e della nostra piccolezza per rapporto alle immensurabili vastità e alle inscrutabili profondità dei misteri dell’universo. «In verità – diceva il grande Newton – io non so nulla, e mi sembra d’essere come un fanciullo, che gioca sulla riva del mare e gode se trova un ciottolo liscio o una conchiglia più grande del solito, intanto che l’oceano della verità si distende davanti inesplorato»[i].

Ma sulle altezze del sapere umano non cessa la sete del vero; essa si fa anzi più ardente e tormentosa. Il desiderio di condurre a termine l’edificio della scienza diventa allora più assillante. Vorremmo riempire i vuoti, colmare le lacune, dissipare le ombre, correggere gli errori. Ma la vita dell’uomo è troppo breve per un’opera così ardua. Quando si è raggiunta la maturità intellettuale, si è raggiunta pure la maturità degli anni, e bisogna rassegnarsi a veder indebolite le forze, logorati gli strumenti del lavoro; bisogna aspettare da un momento all’altro l’epilogo d’ogni vita: la morte.

Ogni lavoratore del pensiero, ogni soldato dell’idea muore sull’impalcatura dell’edificio cominciato con tanta tenacia di sforzi e continuato con tanta costanza di propositi; muore prima d’aver cantato l’inno della vittoria, prima d’aver realizzato l’aspirazione continua di tutta la sua vita: il riposo dell’intelligenza nella pienezza del vero.

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[i] Brewster, The Life of Newton.

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