Dal capolavoro di Padre Angelo Zacchi O.P. L’origine e i destini dell’uomo, un breve estratto dal Capitolo XIV sull’immortalità facoltativa.
[…] Oppongono i condizionalisti: la vita è un dono; e per di più un dono che nessuno ha chiesto; un dono che ci è stato dato senza previo nostro consenso. Di fronte ad essa non abbiamo contratto alcun impegno, e possiamo farne quel che più ci aggrada. In conseguenza la sola punizione che ci si possa giustamente infliggere, per aver abusato della vita, è quella di ritogliercela: «Il sentimento del giusto può dichiarar degno di pietà e di biasimo, ma non di castigo colui che, nulla avendo chiesto, non sa o non vuol fare un uso utile del dono ricevuto; e la sola soluzione conforme alla giustizia da parte del donatore è di riprendersi il dono». E Dio, che opera sempre conforme a giustizia, non potrà non conformare la sua condotta a questi criteri, lasciando che il peccatore, dissipatore delle preziose energie della vita, muoia lentamente per esaurimento. Così C. Lambert[i].
L’obiezione, che contiene un’implicita apologia del suicidio, poggia su un equivoco. La vita è un dono, in quanto non l’abbiamo, né meritata, né guadagnata in alcun modo con le nostre fatiche e coi nostri sforzi. È un dono, in quanto non v’avevamo alcun diritto, e ci è stata data unicamente per un atto di bontà e generosità di Dio. Però se è un dono, è un dono divino; e non è permesso considerarla come un dono qualunque; non è permesso metterla allo stesso livello dei doni che si ricevono dai nostri simili. Così non è un dono che ci debba esser fatto solo dopo il nostro consenso. Sarebbe possibile sapere dai condizionalisti in qual modo, quando ancor non eravamo, Dio avrebbe potuto interpellarci e chiederci il consenso di chiamarci all’esistenza? Non è un dono che diventi di nostro esclusivo dominio, e che a piacere si possa accettare o ricusare, coltivare o disprezzare, conservare o distruggere. Per capir tutto ciò non bisogna mai dimenticare che siamo delle povere creature che non abbiamo nulla di nostro, mentre Dio, sorgente prima dell’essere, è il creatore di tutte le cose, il padrone assoluto di tutto. Dio verso di noi non ha che diritti; noi verso di lui non abbiamo che obblighi. Dio, creatore nostro infinitamente sapiente, può chiederci conto della nostra condotta; noi creature brancolanti nel buio, non possiamo, senza peccar di presunzione, scrutare gli arcani motivi delle sue azioni. Dio dunque può darci la vita, quando e come vuole, senza interpellare nessuno, senza chiedere il consenso di nessuno. E quando l’ha data, non può rinunziare ai suoi diritti sopra di essa, senza cessar d’essere Dio. La vita, anche dopo essere stati chiamati all’esistenza, appartiene più a lui che a noi. Egli può e deve anzi imporci delle condizioni per il buon uso di questo dono; condizioni che noi, da Dio totalmente dipendenti, siamo tenuti ad osservare rigorosamente. La vita diventa così un dovere, una prova; diventa un deposito sacro, un deposito prezioso, che dobbiamo conservare e custodire gelosamente per Iddio che ce l’ha affidato. La vita, secondo la bella similitudine evangelica, è un tesoro, che dobbiamo accrescere e sviluppare in armonia con le norme e le leggi da Dio stesso imposteci. Non tener conto di queste norme e violare queste leggi, significa condannar la vita alla sterilità, ed insieme esporsi con sicurezza a sentire il peso delle sanzioni che tali norme e tali leggi accompagnano.
Che se la vita può divenire un dono nocivo, non è certamente per se stessa. Essa è un dono altissimo, di valore incalcolabile; in essa – lo riconoscono tutti i condizionalisti – sta nascosto il germe dell’immortalità e della perfetta felicità. Se qualche volta la vita diventa nociva, se termina nel disastro irreparabile dell’infelicità, è unicamente per colpa nostra. Manchiamo al fine perché, acciecati dalla sensualità o dall’orgoglio, non ascoltiamo le voci della coscienza, non battiamo le vie tracciate al nostro cammino. Di fronte alla triste sorte che l’attende, il peccatore ostinato non ha il diritto di maledire alla vita, o di lamentarsi di chi gliel’ha data. Egli solo è responsabile di tal sorte; e a se solo deve rivolgere i rimproveri; di sé solo deve lamentarsi.
>>> L’origine e i destini dell’uomo <<<
[i] Le spiritualisme et la religion. Vol. I, p. 380.
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