di Luca Fumagalli

Oltre a essere uno dei più noti romanzieri del Novecento, George Orwell è stato anche un critico letterario acuto ed equilibrato, come dimostrano i suoi saggi dedicati a Dickens, Kipling, Wells, Conrad, Yeats e a molti altri importanti autori. Semplicità e chiarezza erano il suo motto e in tanti continuano a ritenere l’Orwell saggista di gran lunga migliore del narratore.

Anche sul fronte della letteratura cattolica lo scrittore inglese espresse alcuni giudizi degni di nota. Un esempio della sua perspicacia in tale ambito è offerto da una recensione del romanzo Il nocciolo della questione di Graham Greene, apparsa il 17 luglio 1948 sul «New Yorker», in cui si punta soprattutto a evidenziare i limiti narrativi e spirituali del testo. Secondo Orwell, infatti, il romanzo «non è uno dei migliori di Greene, e dà l’impressione di essere stato costruito meccanicamente; sembra che il conflitto familiare sia stato inscenato alla stregua di una equazione algebrica, senza nessuna cura di renderlo psicologicamente plausibile».

Protagonista della vicenda è il cinquantenne Scobie, vicecommissario di polizia in una colonia inglese dell’Africa all’epoca della Seconda guerra mondiale. Scobie è un agente di prim’ordine, un marito fedele e un cattolico devoto, troppo onesto per fare carriera in un ambiente dove è il doppiogioco a dominare. Purtroppo, però, finisce suo malgrado per essere coinvolto in una rete di sospetti e ricatti, dovendo pure tenere nascosta la sua relazione con una giovane donna alla quale si è avvicinato più per pietà che per amore. Nell’epilogo, dopo una comunione blasfema, Scobie decide infine di togliersi la vita.

All’inizio del suo pezzo, Orwell si dilunga sul catholic novel di Greene, sottolineando come solitamente quest’ultimo sia interessato a mettere in scena non solo lo scontro tra terra e cielo, ma pure quello tra la santità e la bontà laicamente intesa («un tema fecondo del quale lo scrittore ordinario, non credente, non sa che farsene»). Ne Il potere e la gloria Greene è riuscito a farlo con successo, meno in Brighton Rock e ne Il nocciolo della questione, il cui limite maggiore risiede nella trama, dato che le motivazioni di Scobie non spiegano adeguatamente le sue azioni. Altra questione che torna poco è l’ambientazione, la quel non ha alcun reale impatto sull’andamento della vicenda: perché, dunque, scegliere l’Africa? Gli stessi africani «esistono solo come uno sfondo che si menziona occasionalmente, e all’unica cosa che dovrebbe essere nella mente di Scobie tutto il tempo – l’ostilità tra bianchi e neri, e la lotta contro il movimento nazionalista locale – non si fa mai accenno». Il protagonista, poi, è unicamente preoccupato del suo percorso verso la dannazione, raramente riflette sul lavoro, e quando lo fa si scorda completamente della guerra in corso.

«L’idea centrale del libro», prosegue Orwell, «è che è meglio, spiritualmente più alto, essere un cattolico errante anziché un pagano virtuoso. Graham Greene avrebbe probabilmente sottoscritto l’affermazione di Maritain, fatta a proposito di Léon Bloy, che ‘c’è solo un tristezza – non essere santi’. Inoltre viene citato Péguy a mo’ di epigrafe del libro; si dice che il peccatore è ‘al cuore della cristianità’ e conosce più del cristianesimo di tutti gli altri, fatta eccezione per il santo». Non solo Orwell non è disposto ad accettare una visione secondo cui la comune decenza umana non ha alcun valore, ma accusa Greene di essere una snob, uno che «condivide l’idea, in circolazione sin dai tempi di Baudelaire, che vi sia qualcosa di distingué nell’essere dannati». L’Inferno, di conseguenza, appare come una sorta di club esclusivo riservato ai cattolici; gli altri sono considerati semplicemente troppo ignoranti per essere dannati, mentre chi crede è l’unico a conoscere il significato del bene e del male (non a caso ne Il nocciolo della questione e in diversi romanzi di Greene non vi è nessuno che, al di fuori della Chiesa cattolica, abbia la più elementare conoscenza della dottrina cristiana).  

Né Orwell manca di notare come nel moderno romanzo cattolico, tanto in Inghilterra quanto in Francia, la tendenza sia quella di includere sacerdoti pessimi o, al meglio, inadeguati, tutte figure distantissime dal famoso padre Brown, prototipo del reverendo saggio e affascinante: «Immagino che uno dei principali obiettivi dei giovani scrittori cattolici britannici sia quello di non assomigliare a Chesterton».

Ad Orwell il «culto del peccatore santificato» non può che sembrare sciocco, pure a motivo delle assurdità psicologiche che produce nei personaggi. Ne Il potere e la gloria lo scontro tra questo e l’altro mondo è convincente, dato che è tutto “esterno”, non avviene cioè nell’intimo dei protagonisti; non così in altri lavori quali Brighton Rock, in cui un essere fondamentalmente sciocco si scopre capace, solo in virtù della sua fede, di portare avanti ragionamenti sottilissimi. Lo stesso Scobie è un personaggio scisso: se credesse davvero che l’adulterio fosse un peccato, smetterebbe di commetterlo, così come se credesse veramente nell’Inferno, non farebbe di tutto per finirvici solo per evitare di confrontarsi «con i sentimenti di due donne nevrotiche». D’altronde, non torna nemmeno che un uomo spaventato dall’idea di causare sofferenze serva nella polizia coloniale (Orwell parla qui a ragion veduta, alla luce della sua esperienza quinquennale in Birmania).

Al paragone de Il nocciolo della questione, sempre secondo lo scrittore, un’opera cattolica come Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh risulta vincente in virtù della credibilità della sua trama.

In conclusione, Orwell si augura che il prossimo lavoro di Greene «abbia un tema differente, o, se non dovesse essere così, che almeno si ricordi che una percezione della vanità delle cose terrene, nonostante possa bastare per mandare qualcuno in Paradiso, non costituisce materiale sufficiente per scrivere un romanzo».



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