Articolo interessante e pungente di don Jean-Michel Gleize FSSPX pubblicato sul Courrier de Rome n° 681, dicembre 2024, tradotto da UnaVox.
1. Abbiamo scritto (1) che la celebrazione della Messa nel corso del pellegrinaggio di Chartres [da Parigi a Chartres] potrebbe diventare un problema. Infatti, anche nel migliore dei casi e cioè che le autorità ecclesiastiche non rifiutassero ai sacerdoti presenti di celebrare col Messale di San Pio V, resta il fatto che gli organizzatori di questo pellegrinaggio [il gruppo Notre-Dame de Chrétienté] non vogliono che si celebri la Messa col Messale di Paolo VI.
Questo rifiuto pone un dilemma ai cattolici dell’ambito Ecclesia Dei. Perché i casi sono due: o i motivi di questo rifiuto coincidono con quelli per i quali la Fraternità San Pio X rifiuta la celebrazione del Novus Ordo, motivi che fanno di questo rifiuto un’attitudine di principio, ed allora l’ambito Ecclesia Dei cade nel supposto scisma che inizialmente ha voluto evitare rifiutandosi di seguire Mons. Lefebvre; oppure il detto ambito intende rimanere fedele alle sue origini, distinguendosi per principio dall’attitudine adottata dalla Fraternità San Pio X, e allora non può fare suoi i motivi per i quali la Fraternità rifiuta per principio il nuovo Messale di Paolo VI, cosa che la porta a scoprire, per il rifiuto di questo nuovo Messale, dei motivi introvabili, che per il momento gli danno l’alibi di un improbabile «DNA».
2. La stessa logica di evitare il supposto scisma dovrebbe portare a screditare il rifiuto della Messa di Paolo VI, mentre invece è giustificato dalla Fraternità San Pio X.
Il mezzo utilizzato è lo stesso per tutti i detrattori della battaglia condotta da Mons. Lefebvre: il ricorso all’unico argomento estrinseco dell’autorità; tanto è vero che la critica interna del nuovo rito della Messa, di cui il Breve esame critico dei cardinali Ottaviani e Bacci rappresenta la più perfetta realizzazione, lascia poche speranze agli eventuali apologeti del Messale di Paolo VI.
3. Questo argomento dell’autorità è in questo caso quello della legge della Chiesa, la quale, diretta com’è dallo Spirito di Dio, non potrebbe mai stabilire, per principio, una disciplina pericolosa o nociva per la fede o per i costumi dei fedeli.
Il riferimento preferito è la proposizione condannata n° 78 nella Costituzione apostolica Auctorem fidei di Papa Pio VI. Qui il Papa intende condannare coloro che vorrebbero prendersi la libertà di distinguere nelle leggi della Chiesa «ciò che è necessario o utile per mantenere lo spirito dei fedeli, e ciò che è inutile o più pesante di quanto possa sopportare la libertà dei figli della Nuova Alleanza, o più ancora ciò che è pericoloso o nocivo perché porta alla superstizione o al materialismo». L’idea precisamente condannata è quella secondo la quale sarebbe lecito sottoporre ad esame «la disciplina stabilita o approvata dalla Chiesa – come se la Chiesa, che è retta dallo Spirito di Dio, potesse stabilire una disciplina non solo inutile e più pesante di ciò che sopporta la libertà cristiana, ma perfino pericolosa, nociva, conducente alla superstizione e al materialismo».
Parallelamente, nell’Enciclica Mirari vos, il Papa Gregorio XVI dichiara che «sarebbe dunque un attentato, una deroga formale al rispetto che meritano le leggi ecclesiastiche, biasimare […] la disciplina che la Chiesa ha consacrato, che regola l’amministrazione delle cose sante».
Infine, nell’Enciclica Mediator Dei, il Papa Pio XII, contro coloro che vorrebbero attenersi intempestivamente agli usi liturgici antichi, ricorda che «anche i riti liturgici più recenti sono degni di essere onorati e osservati, poiché sono nati per ispirazione dello Spirito Santo, che assiste la Chiesa in tutti i tempi fino alla consumazione dei secoli».
4. L’inadeguatezza di questo tipo di argomento è stato segnalato fin dall’inizio da Mons. Lefebvre in tutte le risposte date al Papa Paolo VI (2).
L’errore condannato da Pio VI, Gregorio XVI e Pio XII è quello per cui la coscienza individuale del fedele intende giudicare da sé le decisioni dell’autorità, imputandole una carenza che nulla potrebbe presumere. Reazione di una Chiesa discente che pensa di essere una Chiesa docente.
La reazione della Fraternità San Pio X si spiega e si giustifica per tutt’altra ragione (3).
Può accadere, dice Sant’Ilario, che «le orecchie del popolo siano più sante dei cuori dei sacerdoti» (4). Precisamente, sono le orecchie ad essere più sante, e lo sono perché hanno già ascoltato la parola di verità che santifica, anche se per il momento il cuore e la bocca dei sacerdoti non la fanno sentire come fino ad allora.
Ribadiamo questi fatti evidenti (5).
La Chiesa rimane sempre quella che è, anche in tempi di crisi, anche nel tempo dopo il Vaticano II: una società essenzialmente diseguale, in cui la Chiesa discente reagisce sempre in dipendenza della predicazione della Chiesa docente.
La resistenza di Mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X nei confronti del Novus Ordo Missae di Paolo VI si giustifica in base al criterio enunciato da San Paolo nell’Epistola ai Galati, cap. I, versetto 8: «Sed licet nos aut angelus de caelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit!» [Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!].
La Chiesa discente deve considerare come anàtema una dottrina opposta a quella che le è già stata insegnata. Il rifiuto del Novus Ordo è precisamente il rifiuto di una Chiesa discente, rifiuto di una Chiesa già istruita per aver ricevuto dai suoi Pastori l’inalterabile espressione del culto divino e della fede cattolica divinamente rivelate, attraverso la liturgia del Messale di San Pio V.
Il rifiuto del nuovo Messale di Paolo VI è il rifiuto di ciò che «si allontana» da questa liturgia del Messale di San Pio V, il rifiuto di ciò che «si allontana» da «la disciplina che la Chiesa ha consacrato e che regola l’amministrazione delle cose sante», per riprendere i termini usati dal Papa Gregorio XVI.
5. Questa è la vera – e la sola – ragione suscettibile di rendere legittimo il rifiuto della nuova liturgia di Paolo VI. Ragione che deriva dalla natura essenziale della Chiesa cattolica, società disuguale per essenza, in cui la professione di fede della Chiesa discente si fa continuamente l’eco inalterata delle direttive della Chiesa docente. Continuamente significa nel corso dei secoli: da San Pietro fino all’ultimo dei Papi della storia, e senza contraddizione possibile.
Ora, presa nella sua essenza, la nuova liturgia di Paolo VI è in manifesta contraddizione con la secolare liturgia della Chiesa: nella sua essenza, cioè in quanto segno e quindi per ciò che dovrebbe significare.
Il significato della Messa di Paolo VI si allontana in modo molto considerevole da ciò che la Chiesa docente ha sempre inteso significare nella sua liturgia, perché si possa considerare la riforma del Novus Ordo Missae come la legittima espressione della fede e della disciplina alla quale dovrebbe conformarsi la Chiesa discente.
Tale allontanamento, non solo rende la nuova Messa meno buona o imperfetta o suscettibile di miglioramento, la rende cattiva, poiché è pericolosa e nefasta per la fede dei fedeli e sgradevole agli occhi dell’Onnipotente. Tale che essa rappresenta uno scandalo, cioè un’occasione di rovina spirituale. Dunque, il rifiutarla non solo è legittimo, ma necessario: è un dovere che si impone alla coscienza di ogni cattolico deciso a mantenersi fedele alle promesse del suo Battesimo.
6. Questo vero motivo del rifiuto è troppo spesso passato sotto silenzio dai fedeli dell’ambito Ecclesia Dei e non è quello addotto dagli organizzatori del pellegrinaggio della Chrétienté [Notre Dame de Chrétienté]. Senza il ricorso ad esso diventa sempre più difficile, se non impossibile, a tali organizzatori conservare la loro credibilità di fronte alla richieste delle autorità ecclesiastiche.
7. Il principio primo dell’esistenza stessa dell’ambito Ecclesia Dei, la sua radicale ragion d’essere, è di evitare il supposto scisma di Mons. Lefebvre. Questo principio è chiaramente enunciato al punto c) del paragrafo 5 del Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta: «desidero soprattutto rivolgere un appello allo stesso tempo solenne e commosso, paterno e fraterno, a tutti coloro che finora sono stati in diversi modi legati al movimento dell’Arcivescovo Lefèbvre, affinché compiano il grave dovere di rimanere uniti al Vicario di Cristo nell’unità della Chiesa Cattolica, e di non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. […] A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà – alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale – di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni».
In altre parole, la possibilità lasciata ai fedeli di assistere alla celebrazione della Messa col Messale di San Pio V non è, nell’intenzione del Papa, che il mezzo di facilitare a questi fedeli la comunione ecclesiale, ormai fondata sull’adesione alle riforme scaturite dal concilio Vaticano II, e di allontanarli dagli orientamenti seguiti dalla Fraternità San Pio X; di conseguenza, è il mezzo per impedire a questi fedeli di rifiutare la celebrazione della Messa secondo il nuovo Messale di Paolo VI, il quale fa penetrare, lentamente ma sicuramente, il modernismo negli animi, attuando un po’ la volta la protestantizzazione generalizzata della Chiesa.
8. Che dire, allora, a tutti quelli che vogliono rimanere fermamente legati al Motu Proprio fondativo dell’ambito Ecclesia Dei, e che per questo considerano i fedeli della Fraternità San Pio X come degli scismatici?
Che dire, se non «Siate razionali: diventate modernisti o anche, meglio ancora, protestanti».
NOTE
1 – Si veda l’articolo: Un pellegrinaggio scismatico?, pubblicato in questo numero del Courrier de Rome.
2 – Si veda in particolare il numero della rivista dell’Istituto Universitario San Pio X dedicato a questo punto, intitolato: «Vaticano II. L’autorité d’un concile en question», Vu de haut n° 13, 2006.
3 – Si vedano in particolare i numeri di luglio-agosto 2011 («Magistère et foi») e di febbraio 2012 («Magistère et Tradition vivante») del Courrier de Rome, nonché l’articolo intitolato «Une Eglise inspirée » nel numero di novembre 2024 del Courrier de Rome.
4 – Sant’Ilario, Contro Aussenzio, n° 6; in Migne latino, t. X, 613.
5 – Cfr. «Une Eglise inspirée», nel numero di novembre 2024 del Courrier de Rome.
Imm.: Ganzsache – P 285 /02 – Martin Luther – Deutsches Reich scanned by Stiggi, Public domain, da Wikimedia Commons