di Cardinale Albus

Nota di RS: continua con questa nona puntata questa rubrica di un grande amico di Radio Spada. Ne sono ovviamente onorato e auguro a quest’appuntamento di crescere e fiorire sulle nostre pagine virtuali. Sono certo che, data l’acribia e la DEDIZIONE del suo curatore, essa manterrà una moderata continuità, malgrado questi tempi bellici e infelici, frantumati e irregolari. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE della Fondazione Pascendi ETS)

Nel mistico scorrere di quella gelida e santa notte, allorché la Palestina e il mondo conobbero l’umanato Verbo divino stretto nelle dure fasce, pochi ebbero contezza di come i destini delle nazioni e delle coscienze non sarebbero più state i medesimi. Tra di essi non erano certamente quei tediosi e algidi cultori degli ormai vuoti precetti farisaici, i cui occhi privi di bagliore vitale seguitavano a scrutare con insana ossessione cavilli alimentari e morbose purificazioni. È noto, al contrario, il commovente stupore di quei perenni girovaghi dal linguaggio boscareccio e scurrile: gli sbandati, maleodoranti e irregolari pastori. Disprezzando Iddio i tiepidi e i mediocri, non stupisce che il sentimento di ciò che accadde a Betlemme toccò le menti e i cuori dei più semplici e, al contempo, degli ingegni più sublimi; essendo, l’uno per dote naturale l’altro per innata bontà, uniti dalla vera intelligenza delle cose. E non furono solamente i santi magi a deporre le loro antiche credenze, sì da seguire la stella e onorare con deferenza e doni il Divin Bambinello.

Durante la medesima notte, la luce che rifulgeva da quella lontana mangiatoia nella più remota provincia romana irradiò con mistica ispirazione anche il più grande dei sovrani: l’imperatore Ottaviano Augusto. Così raccontano gli antichi testimoni dell’età cristiana:

Dissero i senatori, vedendo in quel principe così tanto splendore che nessuno poteva guardarlo negli occhi, nonché quell’abbondante pace e prosperità per cui il mondo intero era gli tributario: «Noi ti vogliamo adorare, giacché in te è la divinità. Se così non fosse tutto non potrebbe esserti favorevole!». Ottaviano, con reticenza, chiese di essere lasciato in pace e invocò la Sibilla Tiburtina, alla quale riportò ciò che avevano detto i senatori. Ella si risolse a trascorrere un triduo nel quale si macerò in duri digiuni. Trascorso il terzo giorno rispose all’imperatore: «Ecco quanto accadrà di certo, signore imperatore ‘Il sigillo della sentenza: la Terra sarà madida di sudore, dal Cielo giungerà il Re per i secoli futuri e, incarnato, giudicherà il mondo». Tosto la volta celeste si squarciò e sopra Ottaviano rifulse un incontenibile splendore: vide nel cielo una meravigliosa Vergine ritta sopra un altere e che nelle braccia stringeva un bimbo. Oltremodo stupefatto, udì una voce che diceva: «Questa è l’ara del Figlio di Dio». Questa visione accadde nella camera dell’imperatore Ottaviano, dove ora si trova la chiesa di Santa Maria in Campidoglio, detta appunto Santa Maria in Aracoeli.

Orbene, da sant’Agostino apprendiamo il testo intero della profezia, che però il vescovo d’Ippona attribuì non alla Tiburtina ma più anticamente all’Eritrea, quella sibilla che tanto vide delle tribolazioni e delle prove che attendevano la Chiesa romana:

Verrà dal cielo Colui che sarà re per sempre / cioè per giudicare di presenza la carne e il mondo. / In questo fatto vedranno Dio il miscredente e il credente, / in alto con i santi alla fine del tempo. / Vi saranno col corpo le anime che egli giudica, / quando il mondo giace incolto in dense sterpaglie. / Gli uomini disdegnano gli idoli e ogni tesoro. / Il fuoco brucerà la terra e al mare e al polo / dilagando sfonderà le porte dell’Averno oscuro. / Ad ogni corpo dei santi una libera luce / sarà data, una fiamma eterna brucerà i colpevoli. / Ognuno mettendo a nudo gli atti occulti manifesterà / le cose segrete e Dio schiuderà le coscienze alla luce. / Allora vi sarà pianto, tutti gemeranno battendo i denti. / Sarà tolto lo splendore al sole e cesserà la danza negli astri. / Crollerà il cielo, lo splendore della luna cesserà; / abbatterà i colli e solleverà dal basso le valli. / Non vi sarà nelle costruzioni dell’uomo il sublime e l’alto. / I monti saranno livellati ai campi e l’azzurro del mare / cesserà del tutto, la terra finirà frantumata: / parimenti sorgenti e fiumi si disseccheranno per il caldo. / Ma allora una tromba manderà un triste suono dall’alto / del globo per lamentare la colpa infelice e i vari tormenti / e la terra spaccandosi mostrerà il caos del Tartaro. / I re saranno adunati lì davanti al Signore. / Cadrà dal cielo uno scroscio di fuoco e di zolfo.

Ben noto è agli abitanti dell’Urbe il profondo legame tra l’Aracoeli e Betlemme, come dimostrano i meravigliosi presepi allestiti dai sapienti frati che officiavano tanta basilica. Teste arguto e caustico è il solito Gioacchino Belli che compose due sonetti nel gennaio del 1832, uno del quale menziona, oltre alla Sacra Famiglia anche l’antica profetessa che – in questi versi – canzona la grettezza di Erode: Cuello a mezz’aria è ll’angelo custode / de Ggesucristo; e cquelli dua viscino, / la donna è la Sibbilla e ll’omo Erode. / Lui disce a llei: «Dov’ello sto bbambino / che le gabbelle mie se vò ariscòde?». / Lei risponne: «Hai da fà mórto cammino».

Roma e il suo imperio furono davvero quella luna che splendeva del mistico riflesso del Cristo Salvatore: come la capanna di Betlemme era preparata ad accogliere il Re dei Re, così l’Urbe attendeva l’intronizzazione del suo Vicario. Ma i tempi iniqui e l’ingratitudine dell’uomo hanno fatto sì che la Città Eterna divenisse un volgare bastione di criminali, una spelonca di ladri, un satellite della nequizia schiumata dagli eredi di quei tristi e miserabili Farisei devoti a malefiche e meschine speculazioni. Eppure, essi non sono che scorie di tenebra destinate a essere dissipate da quella stessa luce che duemila anni orsono rifulse da Betlemme, fino a Roma.

Nell’Ottava della Natività 2025

Fone immagine : Wikipedia (pubblico dominio) Antoine Caron – Augustus and the Sibyl

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